Broken music di Sting

arton63635Letto perché ho deciso di leggere un po’ di autobiografie. Tra le altre ho scelto quella di Sting perché è stato il mio idolo musicale dell’adolescenza: l’ho scoperto dodicenne, ascoltando l’LP contenente Roxanne e l’ho seguito fedele e assorta a lungo.

L’autobiografia ripercorre la sua nascita, la famiglia, le radici saldamente affondate nell’Inghilterra del Nord, in una cittadina vicina a Newcastle dove la quasi totalità delle attività era legata ai cantieri navali. Echi della sua infanzia e adolescenza erano già state convogliate nel (bellissimo) album The Soul Cages e sono state riprese anche nell’ultimo album di inediti, The Last Ship, che è poi una serie di canzoni per un musical da lui scritto e che parla della storia di un cantiere navale.

Ancora ben lontano dalle ville nel Chianti-shire, Sting racconta della povertà, della propria famiglia, della passione per la musica inseguita come una sorta di vaga predestinazione, ma a cui assegnare nel frattempo un ruolo marginale, e per questo coltivata sempre di pari passo con l’impegno a costruirsi una exit strategy da “impiegato delle poste” o simili con lo stipendio assicurato, che lo porterà prima a diplomarsi e poi a studiare per diventare maestro nelle scuole elementari. In parallelo, i primi gruppi, i primi concerti, l’incontro con la prima moglie, quello con Copeland che gli propone di fondare i Police, e poi finalmente con quella che poi diventa la seconda, amatissima moglie, Trudie Styler. La narrazione di fatto si chiude alle porte dell’enorme successo mondiale che ha travolto i Police con l’incisione di Roxanne.

Insospettabilmente, il tutto è profondamente intessuto di malinconia, di riflessioni sui genitori, su quello che gli hanno lasciato come eredità spirituale, e di quello che lui lascia ai propri figli. Lo stile è scorrevole, molto rarefatto e a tratti epico (certamente in alcune fasi si respira un’aria fin troppo agiografica), ma lo si legge più come un romanzo di formazione che come un elenco di vicende a cui si debba accreditare chissà quale fedeltà storica. Molta introspezione psicologica e relativamente pochi aneddoti, insomma. Pochissimi lustrini e luci della ribalta, molte nebbie in albe solitarie. A me è piaciuto tanto, avrei voluto che durasse di più, che raccontasse ancora, e più a lungo. Scrive gran bene (ma questo lo sapevamo già). Bello.

Quattro palle su cinque.

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Addio, miss Marple di Agatha Christie

777e77ecc9a1a64a45aeedb40e6f0d71_origVabbè, Agatha. Si tratta dell’ultimo romanzo scritto dall’autrice che vede protagonista Miss Marple. Mi piace sempre tanto, è uno di quelli a cui sono più affezionata.

Cinque palle su cinque.

(La copertina è quella dell’edizione che ho io a casa: quanto ammore… ma perché ultimamente fanno delle copertine demmerda? perché? perché? perché?)

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Gente del Wyoming (Brokeback Mountain) di Annie Proulx

72082854Letto perché ancora piangiucchio quando ripenso alle due camicie una dentro l’altra del film che ne è stato tratto (I segreti di Brokeback Mountain, di Ang Lee con Heath Ledger e Jake Gyllenhaal).

Si tratta di un racconto che, nella sua brevità, ovviamente non aggiunge molti dettagli al film: nel libro c’è già tutto l’essenziale, ma il film riesce nella non facile impresa di sviluppare e dilatare la trama, soprattutto dando ampio respiro ai paesaggi – ai quali spesso è affidato il compito di raffigurare le emozioni dei inespresse protagonisti – ma senza farne una brodaglia insulsa.

Il racconto della Proulx mi è piaciuto, ma è uno dei pochissimi casi in cui *film > libro da cui è tratto*. Bravone Ang Lee.

Comunque quattro palle su cinque.

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Middlesex di Jeffrey Eugenides

9788804584360Superato l’ostacolo per cui  mi ero convinta che Middlesex fosse la versione modernizzata di Middlemarch di George Eliot (mi puntino da sola), ho finito per iniziare questo romanzo dello stesso autore di Le vergini suicide e vincitore del Pulitzer nel 2003, su suggerimento a più voci degli amici del socialino defunto (ciao Friendfeed <3).

E’ un libro che parla di una ragazza, e delle difficoltà che affronta durante la crescita. No, parla di una ragazza che però è anche un ragazzo, e delle sue difficoltà a gestire una identità di genere (obbioddio! è un libro che parla di gender! Run you fools!) diversa dall’identità sessuale nella quale è stata cresciuta. No, scusate, parla della famiglia di questa ragazza che però è anche un ragazzo e della difficoltà che incontrano gli emigranti a inserirsi nella società americana. Però aspettate, è anche un libro che parla dei singoli membri di questa famiglia e delle difficoltà che incontrano perché tutti finiscono per innamorarsi di persone *sbagliate*, però la forza di quelle emozioni è così grande che spazza via tutto, ma proprio tutto il resto, con conseguenze spesso disastrose.

Insomma, è un libro che parla di un sacco di gente e delle difficoltà di vivere: di vivere l’adolescenza, e poi la vita adulta, e la maturità; di vivere il rapporto coi propri genitori, e coi figli, e coi mariti, e con le mogli, e con le sorelle, e con le cugine. Con tutta questa gente e tutte queste difficoltà uno si immaginerebbe un romanzo (romanzone, dato che l’ha tirata in lungo per 600 e rotti pagine) da ccheddueccoglioni. E invece lo fa con una leggerezza, una capacità di gestire la complessità, una tecnica narrativa irresistibile e quasi sempre molto scorrevole (anche se a metà libro ho attraversato una fase di *uh ma che bel gomitolo rosso mi sta rotolando davanti ai piedi aspetta che lo inseguo e ci gioco un po’, cos’è che stavo facendo prima?*, tipo gatto). Però parlandone con gli amici è stata una grandiosa occasione per fare delle riflessioni su identità di genere, identità sessuale, preferenze sessuali, caratteri sessuali esteriori, “normalità”, “anormalità”, eccetera. Sempre ricordando che si tratta di un romanzo (basato su una ricerca anche scientifica ne son certa più che approfondita, ma sempre un romanzo), e non un trattato scientifico o un manuale.

Middlesex è un grande romanzo: dal titolo mi aspettavo che parlasse di sesso (sì, lo so, lo so: mi faccio tutta una serie di idee dal titolo che dio solo lo sa. Lo so), invece il sesso è  – come sempre, diciamolo – soltanto questione di pochi centimetri (cit.), mentre con questo romanzo Eugenides affonda e ci fa affondare nelle profondità e molteplicità delle emozioni umane. Veleggia parecchie spanne sopra Le vergini suicide,  di cui mantiene la capacità di sondare la gamma delle emozioni umane, soprattutto femminili, ma a cui aggiunge una storia che si dipana in modo convincente e appassionante lungo mezzo secolo e oltre, attraversando l’europa e gli Stati Uniti.

Quattro palle su cinque e una pacca sulla spalla.

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Perché i bambini devono ubbidire? di Stig Dagerman

Leimage_booktto perché me lo ha regalato il Previde (ciao Guido <3).

Libro-sottiletta con copertina che sfrutta una delle immagini di bambini più significativa dell’immaginario collettivo: il monello di Chaplin. E non è un caso che sia stato scelto un monello e non un tenero putto cinquecentesco o un moderno, sano, felice poppante.

Antologia di poesie, fotografie e racconti di Stig Dagerman, fulminante scrittore e giornalista svedese morto suicida nel 1954 a soli 31 anni. Tipico esempio di individuo a cui ne capitano di ogni, fin da piccolo (abbandonato dalla madre in tenerissima età e affidato dal padre alle cure dei nonni che lo crescono tra le difficoltà di una vita non agiata), ma non fa di questo percorso ad ostacoli una scusa per comportarsi di merda o sentirsi autorizzato a vendicarsi del mondo ostile e crudele. Le radici di questo approccio vengono ricostruite (ma senz’altro in parte romanzate) nei racconti dei propri ricordi delle relazioni tra gli esseri adulti e i bambini, che vengono qui raccolti.

Si tratta di relazioni, quelle tra adulti e bambini, sorrette da equilibri delicatissimi, in cui l’adulto non sempre sa mettersi nella prospettiva del bambino (“Nel mondo dei bambini tutti i quadri sono appesi troppo in alto”), ma forse neanche *deve* farlo. Il rapporto non è paritario. Il bambino non è un adulto che per inspiegabili ragioni non è alto abbastanza: il bambino è un essere umano (e come tale non va ignorato, vessato, trascurato), ma è un essere umano in evoluzione. A cui mancano ancora degli strumenti. Che è poi – secondo me – il motivo per cui i bambini devono ubbidire: perché mancano loro strumenti cognitivi, relazionali e sociali per prendersi responsabilità e adottare decisioni su scelte e comportamenti, e il contraltare del “devono ubbidire” è che per fortuna “non devono scegliere” su certe cose, soprattutto quelle importanti.

Poi è vero che l’essere adulti – lo si impara anche tropo in fretta – non ti salva lo stesso dall’errore. Quella sicurezza, quella saggezza nel saper scegliere le cose giuste, che da bambini accreditiamo con cieca fiducia “ai grandi”, poi ti accorgi che è il più delle volte una illusione. Una granitica sicurezza con cui tu adulto avvolgi i piccoli, perché si sentano al sicuro, e tu resti lì fuori a costruire quella sicurezza dalle minacce del mondo, ma è una sicurezza che senti sottile come un foglio di carta velina, eppure già basta a trattenere il calore che hai creato dentro.

L’essere adulti non significa non sbagliare, significa sapere che puoi sbagliare, e agire lo stesso: il racconto “Uccidere un bambino” si staglia sugli altri per quanto ti si pianta nello stomaco, raccontato per immagini e piani sequenza come se fosse un film.

Molto bello, ma molto (troppo?) breve. Quattro palle su cinque.

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Il paese dei desideri – Il ricordo di Hiroshima di Hara Tamiki

421Ho già recensito un libro giapponese il cui titolo inizia con “Il paese…” si vede che ai giapponesi piace vedersi paese o che io scelgo i libri che si somigliano tra di loro: il mio gusto invariabile è testimoniato anche dalle 40 e più paia di pantaloni neri tutti simili che ho nell’armadio *sigh*.

Torniamo a Il paese dei desideri. Si tratta di una raccolta di 5 racconti (preceduti da una bella prefazione di Ōe Kenzaburō) il cui autore ha vissuto due eventi drammatici che ne hanno segnato significativamente gli ultimi anni di vita e la produzione artistica: il primo evento, di natura intima e privata, è stata la morte nel 1944 dell’amatissima moglie, dopo lunghissima malattia. Di lei aveva detto: “Se dovessi perdere mia moglie, mi piacerebbe vivere solo un altro anno per lasciare una raccolta di poesie tristi e belle”, e questa pare fosse effettivamente la sua intenzione, ma a sospendere tutto intervenne il secondo evento, di portata mondiale: il bombardamento atomico di Hiroshima, sua città natale. Esposto alle radiazioni, ma ancor più alla portata devastate delle ripercussioni sociali e psicologiche di tale tragico episodio su di sé, sulla propria famiglia e sulla società, fece del proprio lutto personale e dell’atomica i due temi portanti della propria produzione artistica successiva. Morì comunque suicida nel 1951 e – vi dirò – come potrete facilmente intuire, non è che traspaia tutta questa joie de vivre dalla lettura eh. Anzi.

Però, di tutti i racconti, uno da solo merita la lettura di tutto il resto: si tratta di Sulle rive di una morte meravigliosa (lo so, il titolo, lo so. E’ triste anche questo, però è bellobbello). Tre palle su cinque di media fra tutto, via.

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Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli

81MATJwefcLLa copertina e il titolo non rendono giustizia alla storia raccontata nel romanzo. Il tipico esempio di libro che se non me lo avesse messo in mano un amico dicendomi “leggilo” (ciao, Splen <3) non lo avrei mai letto, perché avrei pensato a qualche wannabe cinquanta sfumature.

Invece è stata una lettura più che piacevole: la storia di Libero, di suo padre (affascinante ma polveroso intellettuale ancora innamorato della ex moglie), di sua madre (donna-donna sorretta da una emotività dirompente, ma attaccatissima al figlio), della migliore amica più grande di qualche anno (bellissima, coltissima, interessantissima: come non identificarsi con lei… se vabbé), delle donne che ama, che tradisce, da cui si fa tradire e che sposa, degli amici, del nuovo compagno della madre. Tanti personaggi, qualcuno riuscito meglio, qualcuno troppo anonimo o macchiettistico, ma complessivamente è un romanzo che ha una buona struttura.

Ho allo stesso tempo amato e odiato il continuo riferimento ad altri libri (la migliore amica di Libero fa la bibliotecaria, e guida la sua crescita emotiva, spirituale e per certi versi anche sessuale consigliandogli grandissimi romanzi e letture varie, e così facendo le consiglia anche a noi che leggiamo Atti osceni in luogo privato): odiato perché a volte cade nel compiaciuto, sembra fare sfoggio di erudizione sterile, allontanandoci dalle mestizie dell’umana quotidianità che invece costituiscono l’ossatura vera del romanzo. Però nel complesso stiamo sopra le tre palle e mezzo su cinque: non male, direi.

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Butcher’s Crossing di John Williams

fascetta-butchersDopo Stoner e Nulla, solo la notte, è toccato a Butcher’s Crossing. E bravo Williams (anche se con Stoner eri stato bravone). Non mi aspettavo che la storia fosse ambientata a fine ‘800 nell’America del Far West. Terre ostili, natura impietosa, caldi così torridi che fanno morire di sete e freddi così gelati che bloccano sulle montagne in mezzo a tormente di neve. Il tutto all’inseguimento dei sogni e delle follie degli uomini, che su questa natura indomita vogliono fortemente prendere il sopravvento.

Il simbolo di tutto questo è il bisonte. La sua caccia. Le mandrie. Lo sterminio. Lo spreco. Le madonne di te che leggi e vorresti pigliare più o meno tutti a ceffoni, ma la fai facile, tu, che 150 anni dopo sai perfettamente come è andata a finire quella mattanza. Tanta introspezione psicologica, maestose descrizioni di paesaggi naturali e paesaggi interiori.

A tratti va sul noiosetto, per cui tre palle e mezzo su cinque, ma complessivamente consigliato.

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Emma di Jane Austen

547004293Letto perché Jane Austen non mi stanca mai: i suoi romanzi mi attendono sempre come amici fidati, pronti a condividere risate, amore, tensione, brio e quel giusto mix tra gioia di scoprirsi un po’ più intelligenti degli altri e poi umiltà di scoprirsi un po’ più ingenui o sciocchi.

Emma è uno dei miei preferiti (al terzo posto dopo Orgoglio e pregiudizio e Persuasione), lo amo soprattutto per il personaggio di Knightley, che è un po’ sia la persona che vorrei essere, che quella che vorrei accanto: intelligente, ironico, severo ma giusto, sostiene quando è il momento di sostenere e bacchetta quando è il caso di bacchettare. Apprezza pregi e sforzi a migliorare, il suo giudizio è tanto chiaro quanto aperto ad accettare cambiamenti o nuove valutazioni. E’ generoso, disinteressato, dà più peso alla sostanza che alla forma, soprattutto nei rapporti personali. E poi si innamora come una merda e gli va di culo. Fortuna che lo ritrovo ogni volta che rileggo Emma 😀

Non sono obiettiva, ma cinque palle su cinque.

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Trieste o Del nessun luogo di Jan Morris

downloadLibro letto perché me lo ha regalato Mr P, che vive a Trieste (grazie Donato <3). Solo la biografia dell’autore merita una rece a parte: nasce uomo, gallese e per lungo tempo milita nell’esercito britannico (grazie al quale viaggia e inizia ad appassionarsi a luoghi e città, passioni che ne faranno uno scrittore storico e di libri di viaggi). Dopo un matrimonio e cinque figli inizia una transizione sessuale che lo porterà a 46 anni a cambiare sesso. Queste note biografiche vengono riflesse in “Trieste o del nessun luogo”: sede di una delle sue prime assegnazioni da militare e città nella quale è tornato (e poi tornata) più volte nel corso della vita, sono molte le similitudini tra la Trieste terra di confine e di conflitti multi-culturali e multi-etnici e il Galles della sua infanzia.

Numerosi sono i passaggi in cui l’autore racconta dei propri soggiorni a Trieste parlandone sia con voce e prospettive maschili (ad esempio la visita ai bordelli, da militare), sia femminili (l’incontro con un affascinante sconosciuto che incrocia all’uscita da un ristorante e con il quale consuma pochi secondi di un fugace, impalpabile corteggiamento, subito svanito nelle nebbie della notte).

Un libro che vuole essere più una collezione di impressioni emotive che una mappa di luoghi da seguire con la cartina in mano. Eppure i luoghi ci sono tutti, e tutti sono avvolti da quella magia che chiunque sia stato a Trieste sia per un weekend che per un lungo soggiorno non può aver fatto a meno di percepire.

Se avete già vistoTrieste, questo libro vi farà provare la stessa struggente malinconia. Se non ci siete mai stati, vi farà venire voglia di farlo.

Quattro palle su cinque.

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