Letto perché ho deciso di leggere un po’ di autobiografie. Tra le altre ho scelto quella di Sting perché è stato il mio idolo musicale dell’adolescenza: l’ho scoperto dodicenne, ascoltando l’LP contenente Roxanne e l’ho seguito fedele e assorta a lungo.
L’autobiografia ripercorre la sua nascita, la famiglia, le radici saldamente affondate nell’Inghilterra del Nord, in una cittadina vicina a Newcastle dove la quasi totalità delle attività era legata ai cantieri navali. Echi della sua infanzia e adolescenza erano già state convogliate nel (bellissimo) album The Soul Cages e sono state riprese anche nell’ultimo album di inediti, The Last Ship, che è poi una serie di canzoni per un musical da lui scritto e che parla della storia di un cantiere navale.
Ancora ben lontano dalle ville nel Chianti-shire, Sting racconta della povertà, della propria famiglia, della passione per la musica inseguita come una sorta di vaga predestinazione, ma a cui assegnare nel frattempo un ruolo marginale, e per questo coltivata sempre di pari passo con l’impegno a costruirsi una exit strategy da “impiegato delle poste” o simili con lo stipendio assicurato, che lo porterà prima a diplomarsi e poi a studiare per diventare maestro nelle scuole elementari. In parallelo, i primi gruppi, i primi concerti, l’incontro con la prima moglie, quello con Copeland che gli propone di fondare i Police, e poi finalmente con quella che poi diventa la seconda, amatissima moglie, Trudie Styler. La narrazione di fatto si chiude alle porte dell’enorme successo mondiale che ha travolto i Police con l’incisione di Roxanne.
Insospettabilmente, il tutto è profondamente intessuto di malinconia, di riflessioni sui genitori, su quello che gli hanno lasciato come eredità spirituale, e di quello che lui lascia ai propri figli. Lo stile è scorrevole, molto rarefatto e a tratti epico (certamente in alcune fasi si respira un’aria fin troppo agiografica), ma lo si legge più come un romanzo di formazione che come un elenco di vicende a cui si debba accreditare chissà quale fedeltà storica. Molta introspezione psicologica e relativamente pochi aneddoti, insomma. Pochissimi lustrini e luci della ribalta, molte nebbie in albe solitarie. A me è piaciuto tanto, avrei voluto che durasse di più, che raccontasse ancora, e più a lungo. Scrive gran bene (ma questo lo sapevamo già). Bello.
Quattro palle su cinque.
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