Completa la trilogia delle autobiografie lette in questo periodo quella di Gigi Proietti.
Mi ero scordata che Proietti prima di fare (di Essere) il Maresciallo Rocca, fosse un attore di teatro. E *che* teatro. L’avanguardia, Carmelo Bene. I greci, Shakespeare, Brecht. Il primo a riempire i teatri da duemila persone con uno spettacolo da tre ore solo sul palco (A me gli occhi, please), quello che portò il teatro dentro Fantastico, quello che bucava lo schermo in tv con uno sguardo, il movimento del corpo, la voce. Doppiatore, musicista, attore. Poi regista, direttore di teatri, insomma: un uomo dai molteplici talenti.
Ancora oggi accompagnato dalla stessa svedese di cui si era innamorato 40 anni fa e con cui ha fatto due figlie, racconta la storia di una famiglia poverissima, due genitori arrivati a Roma dalle campagne Umbre per cercare lavoro. La lotta per migliorare se stessi, per migliorare la vita dei figli. La scoperta del teatro insieme ad altre centomila passioni. Incaponirsi per fare tutto al meglio, ripetere cento volte i movimenti o le battute per modulare l’effetto, impadronirsi della tecnica, per poi scordarla mettendola al servizio del testo e dello spettacolo. Passare dall’essere un trombone antipatico che non si concede agli spettacoli leggeri, al fare la tv generalista.
La storia di un uomo che ride dei propri errori pigliandosi per il culo, che non smette di studiare e mettersi alla prova. Non smette di essere curioso, di imparare.
Mi ha fatto venir voglia di andare a vedere gli spettacoli al Globe (c’è ancora il Globe a Roma, sì?). Mi ha fatto venire voglia di tornare a teatro.
Bello. Quattro palle abbondanti su cinque.
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