Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes Saavedra

Don Chisciotte della Mancia copertina

Da qualche tempo cerco di leggere un grande classico all’anno. Ultimamente poi cerco anche di diversificare e leggere un grande russo, un grande francese ed è finita che ho letto anche un grande spagnolo.

Sono felice di averlo letto? Sì, ovviamente, perché me lo ha consigliato una persona a me molto cara, perché era un buco notevole nella mia formazione e perché mi permette finalmente di cogliere moltissimi rimandi, ispirazioni e citazioni che in tutti questi anni mi erano sfuggite.

Mi è piaciuto? No. E non tanto perché non abbia retto bene al passare del tempo, ma perché l’eroe è esattamente il tipo di persona che mi attiva tutti i campanelli di allarme di autodifesa: è uno sfigato, che si fa male, che viene preso in giro e derubato. E’ un ingenuo di cui altri si approfittano e il disagio conto terzi che ho provato lungo tutta la lettura ha fatto sì che me ne trascinassi le oltre 1.300 pagine da gennaio a ottobre.
Grazie, ma no grazie.

Per me (ripeto: per me, è un problema mio) due palle su cinque.

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La dismissione di Ermanno Rea

4158238.jpgQuesto romanzo (che profuma di saggio) racconta la dismissione degli impianti siderurgici Ilva di Bagnoli (Napoli) avvenuta tra il 1985 e il 1992, raccontata dal punto di vista di un dipendente un po’ particolare: un semplice manutentore, incaricato da sempre di mantenere in salute gli impianti e designato poi – per lo scrupolo dimostrato negli anni e l’accurata conoscenza di ogni singolo bullone degli impianti – per accompagnare lo smontaggio e la consegna dei vari pezzi ai compratori, spesso provenienti dall’estremo oriente.

E come ci si sente a smembrare l’organismo di cui ti sei preso cura per anni, il cuore e polmone del tuo quartiere, della tua città? Il luogo fisico, emotivo e sociale dentro cui sei nato e cresciuto, che ha plasmato la tua esistenza, dentro cui pensavi di trascorrere tutta la tua vita, e che eri certo avrebbe dato pane e speranza ai tuoi figli? Ci stai di merda, ma allo stesso tempo non lasceresti questo compito a nessun altro, perché nessuno lo potrebbe fare con l’amore e la dedizione con cui lo faresti tu.

L’ho trovato inaspettatamente bellissimo.

Mi sono ritrovata in questa figura di lavoratore puntiglioso, innamorato delle cose fatte per bene, e fatte anche quando – potendo scegliere – faresti piuttosto qualsiasi altra cosa. Quest’uomo semplice, che cerca di fare del proprio meglio con quello che ha, con quello che la vita gli ha messo a disposizione, che cerca di comportarsi bene anche se qualche volta non può fare  a meno di sbagliare. Che non smette di meravigliarsi per le cose belle, e di incazzarsi per quelle che non vanno, ma senza farne un alibi per non fare nulla. Un uomo profondamente legato a Napoli, alle sue periferie e a quella visione disincantata eppure mai del tutto priva di speranza tipica di quel popolo, in quel momento storico, che ho conosciuto personalmente. Chissà se è ancora così, cosa si è perso, cosa è rimasto, cosa sarà.

Quattro palle e mezzo su cinque.

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Q di Luther Blissett

31iAd01JldL._BO1,204,203,200_La lettura di questo libro ha avuto una gestazione molto travagliata: mi venne regalato una ventina di anni fa dalla sorella dell’ex storico, dicendomi che era il suo libro preferito e una lettrice vorace come me lo avrebbe polverizzato in un attimo (hint: ci sono poche cose che mi rendano pesante e faticosa la lettura di un libro quanto l’accompagnarlo dalle parole “figurati per te sarà una passeggiata”).

Una decina di anni dopo me lo chiese in prestito un collega, che lo voleva leggere ma non voleva spenderci soldi. Me lo rese dicendomi “beh se non l’hai letto, dovresti” e ci provai, arenandomi però tipo balenottera spiaggiata dopo una cinquantina di pagine.

Forse non avevo capito la tecnica narrativa: i capitoli non seguono un ordine cronologico rigido, spesso il narratore cambia e peraltro – essendo Luther Blissett lo pseudonimo di un collettivo di scrittori – nei vari capitoli si intravedono anche le diverse “penne” che si sono alternate nella scrittura. Questo inizialmente mi ha dato un senso di forte distonia, di confusione. A ripensarci ora è un po’ il disorientamento che ho provato all’inizio di Infinite Jest, che – pur essendo diversissimo per ambientazione, trama e stile narrativo – ti chiede la stessa pazienza nell’entrare nella trama, dovendoti semplicemente affidare a quel che accade e rimandando al cuore del romanzo la sensazione di aver iniziato a comprenderne le dinamiche sotterranee.

L’ho infine ripreso, su consiglio di una persona cara, che me ne ha parlato in termini così appassionati da spingermi ad andarlo a tirare fuori dalla libreria polverosa dove aveva sonnecchiato tanto a lungo, ed essendo finalmente giunto il suo momento, l’ho poi finito in pochi giorni.

Mi sono concessa con pazienza al dipanarsi degli eventi, a quel metodico avanti e indietro della trama che schizza momenti sparsi nel tempo, apparentemente slegati tra loro. Solo nel volgersi del finale tutti i fili si tirano e riesci finalmente a vedere il quadro nel suo complesso, come se fino ad allora avessi seguito la tessitura di un arazzo dal verso e solo nelle battute finali venisse voltato a rivelarti il disegno finale.

Non posso dire che sia perfetto, ma è certamente un libro bellissimo: molto intenso, non banale, e con una capacità superiore alla media di tratteggiare i personaggi, che siano i protagonisti o i comprimari, con una attenzione al dettaglio concentrato in poche pagine che mi ha fatto spesso pensare alla madre di Cecilia de I Promessi sposi.

L’ambientazione storica (prima metà del ‘500 nell’Europa dilaniata dalle spinte eretiche che porteranno al protestantesimo) potrebbe far pensare ad un noioso polpettone, invece è sì un bellissimo affresco storico, ma prevale la storia degli individui che vi si muovono, inseguendo le proprie passioni e desideri, che siano la lotta alla corruzione della Chiesa, l’accumulo di denaro dalle nuove tratte e tecniche commerciali, il potere temporale su uomini e territori, l’amore o la felicità.

Quattro  palle e mezzo su cinque.

Lo potete trovare qui.

Quando inizia la nostra storia: Le grandi svolte del passato che hanno disegnato il mondo in cui viviamo di Federico Rampini

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L’ho preso in aeroporto perché avevo scordato a casa il Kindle, mi sembrava abbastanza interessante e corposo da bastarmi per una settimana, quindi ovviamente l’ho finito tre mesi dopo (è sempre così, ma perché?)

È un saggio del noto giornalista Rampini che ripercorre le origini di quelli che a suo parere sono i punti nodali della storia contemporanea, risalendo nel tempo fino a trovarne l’origine.

Così, per raccontare della tensione attuale tra USA e mondo arabo risale all’attentato dell’11 settembre 2001, mentre per raccontare dell’evoluzione della Cina nel panorama mondiale va indietro nel tempo fino alla guerra dell’oppio che la vide contrapposta alla Gran Bretagna, e così via.

Un modo interessante per raccontare il mondo di oggi, legandolo al suo recente passato, anche se Rampini lo fa dichiaratamente dal proprio personale punto di vista, con tutti gli aspetti positivi e negativi di questa scelta: non pretende di dare una lettura universale o una spiegazione storicamente completa dei fatti narrati, ma si accontenta di mettere la propria esperienza pluriennale di giornalista internazionale, attento soprattutto alle caratteristiche dei paesi in cui ha vissuto (USA, Cina) o che ha visitato (Iran). Questo aspetto è forse il più grosso punto debole del saggio: il fatto cioè che si abbia spesso la sensazione che il giudizio sia “di parte”, e senza che sia sempre facilmente possibile scindere il fatto dall’opinione (senza scordare peraltro che gli stessi fatti possono essere raccontati in modi diversi a seconda dell’opinione che se ne ha o che si vuole dare).

Nel complesso tre palle su cinque.

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Elianto di Stefano Benni

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Libro amatissimo fin dalla prima lettura. A Benni mi introdusse – quindicenne – un vicino di casa, che scoprì con meraviglia che, nonostante una adolescenza di voraci letture, non mi ero mai imbattuta in questo emulo (così me lo presentò) di Pennac. Io ovviamente non sapevo nulla nemmeno di Pennac.
(Si finisce mai, dico io, di scoprire nuovi autori meravigliosi? si colmano mai tutte le lacune? ci sarà un momento in cui si raggiunge almeno una infarinatura rozza e sommaria di quel che vale la pena leggere nella vita? francamente più vado avanti più mi rendo conto che la risposta è “no”).

Comunque iniziò morbidamente prestandomi Baol, e ancora mi ricordo la sensazione notturna e nebbiosa di muovere i primi passi accompagnata da Benni nel suo mondo di fantasia, di emozione e di surrealismo. Conquistata, lessi Bar Sport (ridendo come una demente), La Compagnia dei Celestini (che amai meno, ma forse dovrei rileggerla oggi), andai a teatro a vedere Il bar sotto il mare (con uno per cui avevo una cotta improbabile e che ovviamente non mi cagava) e quando incontrai Elianto capii di aver trovato uno degli autori della vita, quelli che poi possono pure scrivere una mezza schifezza (e Benni purtroppo l’ha fatto), ma te la leggerai lo stesso.

Elianto è una miniera di spunti fantastici. Fin dalla primissima pagina inanella perle. L’atomo porteur, l’incontro tra le chiome modellate da ettolitri di lacche chimiche, l’ingordo diavolo Brot che si sgranocchia la coda quando ha fame e la diavolessa innamorata ma che lo tiene ovviamente nascosto, Ermete Trismegisto, Boccadimiele, l’inferno come ingorgo, la Teoria del Bonus Vitale di Talete, il collezionista di farmaci scaduti, il sondaggio “SIATE MAGGIORANZA!”, la sfida tra i presidenti, uno stato che si chiama Tristalia. Sono incalcolabili gli spunti geniali contenuti in questo romanzo, e non vi dirò nulla di più.

Sono di parte, ma per me cinque palle su cinque.

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Parole di Antonia Pozzi

81nkQBz3O9LSi tratta del libro di poesie che Elio regala a Marzia nel film Chiamami col tuo nome, tratto dall’omonimo libro di André Aciman.

Glielo regala la sera in cui escono per la prima volta insieme da soli, una serata in cui la corteggia, si baciano e finiranno per fare l’amore stesi su un prato. Un libro che leggerà pensando a lui, mentre nel frattempo Elio consuma ore d’amore e di passione con qualcuno che non è lei.

Antonia Pozzi è una poetessa di profondi sentimenti, che inizia a scrivere giovanissima e morirà suicida a soli 26 anni. Lascia un piccolo tesoro di scritti che parlano di paesaggi montani, di solitudine e di amore.

L’ho letto nella disposizione d’animo ideale, ma non credo sia solo per questo che l’ho amato molto. Quattro palle su cinque.

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Mantieni il bacio: Lezioni brevi sull’amore di Massimo Recalcati

51wVq1pwlCLSette piccole “lezioni” (o per meglio dire riflessioni) sull’amore. Qualcuna più gradevole, qualche altra decisamente meno.

Uno prova a leggere questi libri sperando di capirci una buona volta qualcosa, invece stocazzo.

Nel complesso tre palle su cinque, anche se 80 pagine ve le potete leggere agilmente lo stesso.

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Il serpente dell’Essex di Sarah Perry

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Molti l’hanno trovato noioso al punto da abbandonarlo. Sicuramente alla sua uscita è stato un libro molto “sponsorizzato” (forse troppo), ma (probabilmente perché ci sono arrivata dopo) a me è piaciuto.

È sicuramente lento, con le sue quasi 500 pagine è anche lungo, però a me ha restituito quel ritmo proprio di quando – dopo un lutto, o una cesura importante col passato – tutto è attutito, ovattato, vischioso. Quando ti chiedi se sei tu ad avere percezioni strambe di ciò che ti circonda o se è il mondo intorno a te che ti sembra diverso da come lo avevi sempre visto.

Non vi dirò nulla della trama, se non che è ambientato nell’Inghilterra del sud, a fine Ottocento e che i protagonisti sono una giovane vedova, un bambino probabilmente autistico, un prete atipico, una donna ossessionata dal blu e una misteriosa creatura che non si sa nemmeno se esista davvero, ma sembra aggirarsi soprattutto quando il giorno va a morire, tutto è incerto e vagamente inquietante.

Quattro palle su cinque.

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Anime alla deriva di Richard Mason

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Si tratta di un buon romanzo, con un impianto noir (il libro si apre con il settantenne protagonista e voce narrante che confessa l’omicidio della moglie) anche se per me troppo prevedibile.

Ho apprezzato molto invece la capacità dell’autore di descrivere alcune dinamiche di coppia passivo-aggressive.

Nel complesso tre palle su cinque.

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Il guardiano del faro di Henryk Sienkiewicz

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Più che un libro, un racconto.

Un uomo, esule polacco, perseguitato dalla mala sorte si offre come nuovo guardiano del faro. Lontano da tutto e da tutti, si dice, nulla potrà più ferirmi.

La verità, che lui con noi apprende in poche pagine, è che non si sfugge mai a se stessi, alle proprie radici, al nostro passato.

Complessivamente tre palle su cinque, anche se per quanto è breve forse ve lo potreste leggere comunque.

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