Ho già recensito un libro giapponese il cui titolo inizia con “Il paese…” si vede che ai giapponesi piace vedersi paese o che io scelgo i libri che si somigliano tra di loro: il mio gusto invariabile è testimoniato anche dalle 40 e più paia di pantaloni neri tutti simili che ho nell’armadio *sigh*.
Torniamo a Il paese dei desideri. Si tratta di una raccolta di 5 racconti (preceduti da una bella prefazione di Ōe Kenzaburō) il cui autore ha vissuto due eventi drammatici che ne hanno segnato significativamente gli ultimi anni di vita e la produzione artistica: il primo evento, di natura intima e privata, è stata la morte nel 1944 dell’amatissima moglie, dopo lunghissima malattia. Di lei aveva detto: “Se dovessi perdere mia moglie, mi piacerebbe vivere solo un altro anno per lasciare una raccolta di poesie tristi e belle”, e questa pare fosse effettivamente la sua intenzione, ma a sospendere tutto intervenne il secondo evento, di portata mondiale: il bombardamento atomico di Hiroshima, sua città natale. Esposto alle radiazioni, ma ancor più alla portata devastate delle ripercussioni sociali e psicologiche di tale tragico episodio su di sé, sulla propria famiglia e sulla società, fece del proprio lutto personale e dell’atomica i due temi portanti della propria produzione artistica successiva. Morì comunque suicida nel 1951 e – vi dirò – come potrete facilmente intuire, non è che traspaia tutta questa joie de vivre dalla lettura eh. Anzi.
Però, di tutti i racconti, uno da solo merita la lettura di tutto il resto: si tratta di Sulle rive di una morte meravigliosa (lo so, il titolo, lo so. E’ triste anche questo, però è bellobbello). Tre palle su cinque di media fra tutto, via.
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