Sarebbe stata la lettura dell’estate da consigliare a tutti, ma la recensione è arrivata “tardi”, se mai può arrivare tardi un consiglio valido sempre e per sempre. E arriva a ridosso dell’annuncio che “Appunti per un naufragio” è tra i vincitori del Premio Anima per il sociale 2017.
Enia (già autore dell’amatissimo Così in terra) ha uno stile unico, una capacità non comune di vedere e farti vedere il mondo “in mezzo agli altri” e non “dall’alto”. E di portarti lì dove le cose succedono perché tu possa vederle e poi sentirle dentro. Senza pretese ti spiegarti nulla, perché a volte puoi chiederti cosa ci sia dietro a ciò che accade e non capirlo, ma se certe cose nemmeno hai l’occasione di vederle, allora è come se non esistessero e fossero sommerse. Per sempre.
Ecco: è per questo che dopo averlo finito (a volte anche prima, molto prima di voltare l’ultima pagina) già dici a tutti “Leggilo, leggilo. Fatti un regalo. Leggilo, è un libro prezioso, è un libro necessario”. Quelle espressioni trite e vuote che ti ritrovi ad usare senza volere, perché sì, perché si ha bisogno in questi tempi bui di qualcuno che porti alla luce, in superficie, e allo scoperto qualcosa che, altrimenti, resterebbe nelle profondità del mare. Nelle profondità del *male*. Anche se succede soltanto ad un passo da te.
“Assistere, anche da lontano, all’approdo è stato interessante… no, “interessante” è limitativo. È stata un’esperienza potente, vissuta però dall’esterno, dal di qua, ero fisicamente lontano dal molo”.
Siamo tutti lontani, molto lontani dal molo ed è facile non assistere mai all’approdo. Siamo tutti al caldo, e all’asciutto, e al sicuro. Lo siamo perché abbiamo avuto l’immenso culo di nascere qui e non altrove. Di nascere adesso e non prima. Adesso, e – chi lo sa? – non dopo. Come possiamo sapere infatti cosa ci attende? Come possiamo capire davvero cosa accade altrove? Come possiamo essere certi che non sarà mai più e che noi non saremo mai altrove?
Mettere un piede su quel molo, anche restando al caldo e all’asciutto e al sicuro nelle nostre case – attraverso poche pagine di lettura – è qualcosa che dobbiamo a chi è venuto prima di noi, a chi verrà dopo di noi, a chi cammina su questo mondo adesso, come noi, ma arriva da un altrove di cui non sappiamo nulla ed è così inaudito da rendergli preferibile lo sfidare le profondità del mare su poco più di un guscio di noce.
Mettere un piede solo su quel molo, intuire il dolore, la paura, la morte (che non lo sai, e lo neghi finché puoi, ma ti riguardano perché sono oggi, sono qui, sono nostre) è un invito a condividere un barlume di quella disperazione. Perché farlo? perché credo che a chi beneficia di posizioni di privilegio faccia bene capire che avrebbe sempre potuto essere l’altro.
Il naufragio di cui ho letto è stato il mio naufragio. Ne sono uscita stremata, col cuore pesante e senza fiato. E grata, infinitamente grata.
Cinque palle, santo cielo. Cinque palle più che meritate. Da leggere assolutamente.
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