Letto perché parla di depre (ciao depre </3).
Non sapevo che la Pivetti (attrice, sorella dell’ex Presidente della camera) avesse sofferto di depressione. La sua ha origine nel malfunzionamento della tiroide e nelle cure a cui viene sottoposta (e che si rivelano a lungo inadatte o sbagliate). Lo squilibrio chimico prima induce e poi alimenta uno squilibrio emotivo e interiore, che la porta in brevissimo tempo – nonostante la vicinanza di parenti e amici, il lavoro che per fortuna non le manca, e l’ironia con cui cerca di buttarsi alle spalle il senso permanente di oppressione e mancanza di ogni speranza che caratterizza spesso la depressione – a non riuscire più a prendersi cura di se stessa, del proprio cane e della propria vita.
Il libro è breve, si legge d’un fiato. Non è opprimente, nemmeno quando racconta i momenti più bui, in parte perché lei sa essere sempre spiritosa e racconta i propri drammi in modo leggero, un po’ perché lascia trasparire sempre il lieto fine che è venuto (dopo anni è riuscita a lasciarsi questa brutta esperienza alle spalle).
Ogni depressione è diversa: quella narrata in questo libro ha avuto una “causa” ben chiara e definita – mentre nella maggior parte dei casi non è così facile da capire – ed è stato quindi in parte più semplice curarla. Però se ci concentriamo non sul *come si arriva ad essere depressi*, ma a *come ci si sente quando lo si è*, allora credo che la lettura di questo libro possa aiutare molto a comprendere certe dinamiche, così come le vive un depresso: perché se certe cose non le hai vissute o non le hai viste vivere da persone a te molto vicine, senza pregiudizi, non si riesce proprio a capirle, a volte nemmeno a vederle (perché il depresso spessissimo nega di stare male a se stesso e agli altri).
Quattro palle su cinque.
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