Nulla, solo la notte di John Williams

nulla-solo-la-notte-light1Letto perché ho adorato un altro suo romanzo – Stoner – e avevo voglia di essere nuovamente rapita dalla sua scrittura: quella c’è, ma la trama in questo caso è un po’ “debole”. Romanzo breve, scorrevole e ben scritto, ma non coglie nel segno.

Tre palle su cinque.

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Una stella incoronata di buio di Benedetta Tobagi

1386860236535tobagi_benedetta_stella_incoronata_buioLetto perché lo consigliava Chamberlain (ciao Cham <3) e perché della strage di Piazza della Loggia a Brescia non ne sapevo davvero granché.

A dirla tutta non sento di saperne granché nemmeno dopo quasi 500 pagine di libro. Non per imperizia dell’autrice, che al contrario fa un notevole sforzo di raccolta e sintesi delle informazioni, ma per la spessa coltre di nebbia e polvere che avvolge i fatti e li confonde,  causa degli anni e ancor più della volontà di chi la verità non ha mai voluto che emergesse.

Nella scrittura la Tobagi si muove sempre all’insegna dello stile che caratterizzava il suo primo libro (dedicato alla memoria del padre), vale a dire affiancare alla ricerca storica – basata su una rigorosa analisi delle fonti – lo sguardo umano di chi non trascura il punto di vista dei protagonisti e del narratore stesso: insieme a stralci delle sentenze si leggono le passioni, le lacrime, le delusioni e le rare gioie dei protagonisti, che siano essi i sopravvissuti (parenti, amici), ma anche i morti stessi, attraverso ciò che hanno lasciato di scritto o nella memoria di chi li ha incontrati. E vengono raccontate le storie delle vittime, ma anche quelle dei supposti carnefici (solo supposti, perché in tanti anni e tanti processi ancora non è stato chiarito giuridicamente chi fu a decidere e realizzare l’attentato, sebbene un quadro di chi fu coinvolto a vari livelli è possibile tracciarlo).

Bon, leggetelo, ché vi farà bene. Quattro palle su cinque.

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Successivamente, oggi di Livio Galla

51d3lhxx86lLetto perché l’ha scritto Splendidiquarantenni (ciao Splen <3). Più che un libro, per la dimensione direi un libello: 86 pagine che vogliono essere un prologo nel quale si tratteggiano personaggi, storie, quadri che ruotano attorno alla figura del protagonista: Sergio Lisbona. Avvocato a cavallo dei 40 anni, Sergio vive una normalissima vita fatta di una moglie, due bimbi, un lavoro che gli dà soddisfazioni e preoccupazioni in parti uguali, qualche amico con cui scherzare. E – come tutte le vite normalissime – è fatta anche di piccoli e grandi scossoni che si ritrova a dover affrontare suo malgrado.

La scrittura è accogliente e ironica, la trama apre molte tracce, ma ne chiude solo qualcuna: insomma finisce troppo presto e lascia con la voglia di sapere tutto il resto. Per questo “solo” tre palle su cinque, e daje col seguito!

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Ho smesso di piangere di Veronica Pivetti

copertina-pivetti_Letto perché parla di depre (ciao depre </3).

Non sapevo che la Pivetti (attrice, sorella dell’ex Presidente della camera) avesse sofferto di depressione. La sua ha origine nel malfunzionamento della tiroide e nelle cure a cui viene sottoposta (e che si rivelano a lungo inadatte o sbagliate). Lo squilibrio chimico prima induce e poi alimenta uno squilibrio emotivo e interiore, che la porta in brevissimo tempo – nonostante la vicinanza di parenti e amici, il lavoro che per fortuna non le manca, e l’ironia con cui cerca di buttarsi alle spalle il senso permanente di oppressione e mancanza di ogni speranza che caratterizza spesso la depressione – a non riuscire più a prendersi cura di se stessa, del proprio cane e della propria vita.

Il libro è breve, si legge d’un fiato. Non è opprimente, nemmeno quando racconta i momenti più bui, in parte perché lei sa essere sempre spiritosa e racconta i propri drammi in modo leggero, un po’ perché lascia trasparire sempre il lieto fine che è venuto (dopo anni è riuscita a lasciarsi questa brutta esperienza alle spalle).

Ogni depressione è diversa: quella narrata in questo libro ha avuto una “causa” ben chiara e definita – mentre nella maggior parte dei casi non è così facile da capire  – ed è stato quindi in parte più semplice curarla. Però se ci concentriamo non sul *come si arriva ad essere depressi*, ma a *come ci si sente quando lo si è*, allora credo che la lettura di questo libro possa aiutare molto a comprendere certe dinamiche, così come le vive un depresso: perché se certe cose non le hai vissute o non le hai viste vivere da persone a te molto vicine, senza pregiudizi, non si riesce proprio a capirle, a volte nemmeno a vederle (perché il depresso spessissimo nega di stare male a se stesso e agli altri).

Quattro palle su cinque.

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Vendute! di Zana Muhsen

71djrkedoplLetto perché volevo controllare se l’ebook era formattato bene (dovrei farmi curare), è il classico libro che mentre lo leggi pensi “oddio è terribile, non lo voglio leggere!” e allo stesso tempo “oddio, lo devo leggere!”.

È il racconto autobiografico di Zana (madre inglese e padre Yemenita) che – ancora minorenne – viene mandata in Yemen dal padre insieme alla sorella: ufficialmente in vacanza, ma in realtà vendute come mogli.

Costrette a vivere in un paesino rurale, tagliate fuori dal mondo, picchiate, obbligate ad avere rapporti coi mariti affinché rimangano incinte e non possano più lasciare il paese per non dover abbandonare lì i propri figli, è una vera e propria odissea. Ci si convince (si spera) che dall’epoca degli eventi – inizio degli anni ottanta – ad oggi, le cose siano cambiate, ma la verità è che ci sono ancora luoghi dove i soprusi ai danni delle donne (soprattutto quelli operati dai loro stessi parenti) vengono praticati ogni giorno. Un libro che dovrebbe far quantomeno riflettere e apprezzare di vivere in una nazione che, pur con tantissimi difetti, assicura almeno gli strumenti per difendersi da certe cose.

Quattro palle su cinque.

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Ai piani bassi di Margaret Powell

ai-piani-bassi-1354150100Letto (ovviamente) perché pubblicizzato come uno dei romanzi che hanno ispirato gli sceneggiatori di Downton Abbey: è la storia autobiografica di una ragazza – primogenita di una famiglia povera – che deve andare “a servizio” a 14 anni perché i suoi non possono più permettersi di mantenerla, e lavorare come domestica garantiva a quel tempo (siamo più o meno nel periodo tra le due guerre, se non ricordo male) vitto e alloggio oltre ad una misera paga.

Non avendo attitudine per il cucito, la ragazza sceglie l’unica alternativa possibile: diventare sguattera in cucina. Da lì parte il racconto delle diverse case nelle quali si ritrova a servire, sempre alla ricerca di una paga migliore e condizioni di lavoro meno dure, con l’obiettivo ultimo di sposarsi in modo da poter finalmente smettere di lavorare e farsi mantenere. Raggiunto il suo obiettivo, la protagonista mette su famiglia e – una volta cresciuti i figli – recupera gli studi che non aveva potuto fare da giovane, si scopre una vena narrativa e scrive un paio di libri per raccontare la propria vita, tra cui questo.

La storia è a suo modo gradevole, lo stile invero molto scarno e povero. La sensazione mentre leggi è di esserti ritrovata seduta in un pub con una cinquantenne astiosa e vagamente presuntuosa, che ti racconta aneddoti di vita vissuta apparentemente nemmeno troppo interessanti. Tuttavia – incredibilmente – non è noioso ed è molto scorrevole.

Strappa tre palle su cinque come narratrice e una occhiata di disapprovazione di Mrs Patmore per l’indolenza come sguattera.

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La biblioteca più piccola del mondo di Antonio Iturbe

coverLetto perché mi è capitato per caso sotto agli occhi. La storia si basa su fatti storicamente accaduti: lo scenario è infatti il “campo famiglie” creato ad Auschwitz-Birkenau per ospitare interi nuclei familiari (seppur tenendo comunque divisi gli uomini dalle donne), fatto insolito in quanto contrario alla prassi di eliminare immediatamente quei soggetti – soprattutto vecchi e bambini – ritenuti inadatti al lavoro. La motivazione di questa scelta resta celata per molto tempo ai protagonisti, che si limitano ad accogliere questa decisione come un dono del cielo, e che cercano di mantenere acceso un barlume di “vita” vera: il simbolo di tale indomabile volontà di conservare la speranza in un futuro migliore risiede nella scuola, che viene creata all’interno del campo per educare i bambini. Educazione affidata apparentemente a semplici giochi e canti, ma – di nascosto dalle guardie – nella forma di vero e proprio insegnamento, basato su una manciata di libri entrati clandestinamente nel campo, e conservati dalla piccola bibliotecaria quattordicenne che è la narratrice del romanzo.

Posto che io ho una predilezione per i romanzi ambientati in quel periodo storico, e posto che sono perfettamente consapevole del fatto che il campo famiglie fosse retto da regole decisamente meno severe e punitive rispetto al resto del campo, ho trovato largamente implausibile l’intreccio: troppa poca fame, sporco, botte, ingiustizie, arbitrarietà, meschinità. L’ho letto quindi più come un romanzo vero e proprio che come un romanzo storico. A suo modo godibile, ma non va oltre le tre palle su cinque.

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Un amore di Dino Buzzati

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Che delusione. Cioè è un bel libro, ma io mi aspettavo una cosa diversa. Mi aspettavo la storia di un amore e invece è l’ennesimo racconto di tutto quello che non è amore: affezione a senso unico, dipendenza, anaffettività, vampirismo affettivo, passivo-aggressivismo. Pare ci sia un gran bisogno di raccontare queste dinamiche, ma io non ho nessun bisogno di leggerne ancora.

Non ho amato l’intreccio ma ho invece adorato la scenografia: una Milano bellissima e viva, raccontata con la dedizione e lo sguardo acuto e severo di un osservatore innamorato. Ecco: lì l’amore l’ho trovato.

Tre palle su cinque.

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Sette sottane di Monica Vitti

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Autobiografia di una donna speciale.

Meravigliosa soprattutto la prima parte, scritta sotto forma di trascrizione di una (fantomatica?) intervista con una giornalista nel giorno che precede una prima a teatro. Le difficoltà, le fragilità, il desiderio permanente di fuga e il senso immanente di precarietà (fisica, emotiva) di una delle più grandi attrici italiane di sempre. Ho sottolineato interi passaggi ma avrei voluto ricalcare ogni asta e ogni curva di ciascuna lettera, tanto mi sono riconosciuta (identificata) in certe sensazioni descritte, in certi suoi comportamenti e atteggiamenti. Poi io curiosamente non ho il suo talento, ma siete davvero scortesi a farmelo notare.

Eterea, a tratti confusa, certamente perfettibile, non è adatta a chi cerca una cronistoria di avvenimenti che raccontino in modo rigoroso e descrittivo la genesi dell’artista. E’ imperdibile per chi è interessato a dare un rapido sguardo agli abissi dell’animo di un essere umano che ha fatto della propria sensibilità e fragilità uno straordinario strumento per trasmettere emozioni.

Quattro palle su cinque.

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