Questo di certo non è un romanzo, ma non ha nemmeno la pretesa di essere un saggio: sembra più una raccolta di riflessioni, di punti di vista diversi, di immagini a tutto tondo di un fenomeno in particolare, cioè internet inteso non come mezzo, ma come aggregazione di comportamenti di persone e aziende. Il tentativo sembra essere infatti quello di ricomporre un ritratto fedele ma indiretto di internet (e di chi lo frequenta), come se fosse una aggregazione di fotografie o se ne guardassero i riflessi su altro (sul linguaggio di chi lo usa, sulle dinamiche sociali, sulla scelta degli argomenti di cui discutere e delle immagini da mostrare, su cosa nascondere, ecc.) più che guardare direttamente ad esso.
La tesi di fondo (da cui il sottotitolo Perché non dobbiamo farci raccontare internet dai giornali e dalla TV) è che la narrazione diretta che viene fatta di internet da chi ha tradizionalmente in mano gli strumenti descrittivi della “realtà”, cioè i giornali e la tv, è fortemente distorta: internet come coacervo di brutture, violenza, dilettantismo, sgrammaticature, pressapochismo. Come se fosse il mezzo (e non la gente che lo frequenta) a determinare un modo di essere e come se “la gente” fosse un mix indistinguibile e bovino che pretende di parlare quando dovrebbe stare zitta.
Su internet c’è questo, ma non solo questo. Ci sono dinamiche da bar e dinamiche nuove, è cambiato il modello di interazione (dal “io parlo e tu ascolti, e c’è chi vende parte della tua attenzione alle aziende che vogliono farsi vedere e ascoltare” al “tutti parlano, tutti ascoltano, tutti possono dire qualcosa e lo fanno, qualcuno ha cose più interessanti da dire di altri, ma l’attenzione non è più canalizzabile e strumentalizzabile secondo i meccanismi rodati”), ma stanno sorgendo anche dinamiche relazionali nuove uniche e bellissime e questa “narrazione dominante” di internet come di satana non fa che cercare di rallentare un processo che sta compiendosi ugualmente.
Le ragioni sarebbero legate non tanto a una supposta incapacità di giornalisti e professionisti del settore di cogliere e descrivere “le ragioni di internet” o le sue peculiarità positive, ma a interessi economici, alla monetizzazione degli spazi pubblicitari sui canali media tradizionali, mentre su internet la gente produce contenuti e attrae l’attenzione delle persone (a volte di moltissime persone) ma farci i soldi, se non sei la Ferragni, è quasi impossibile e – incredibile a dirsi – a volte nemmeno desiderato.
Si parla anche molto dell’uso che facciamo di internet, di come nel mare magnum delle possibilità di utilizzo (facebook, twitter, giornali, immagini, film, scrittura, lettura, musica, …) tendiamo a creare delle bolle di preferenza e poi a raccontarci che quella bolla spieghi tutto e di aver “finito l’internet”, di come cambia il modo di parlare, di comunicare, di fruire dei contenuti (quanti di noi hanno la sensazione di non riuscire più a leggere testi lunghi, troppo abituati al saltellare da un testo a un altro, da uno stimolo ad un altro), di come le aziende stanno cercando in modo più o meno efficace di affacciarsi a questo mondo, eccetera.
Insomma, non è un testo perfetto, non è esaustivo, non è nemmeno organico (io ad esempio ho sentito molto la mancanza di un “piano dell’opera”che ne avrebbe però fatto un prodotto che non era quello che voleva essere) ma butta molta carne al fuoco ed è carne saporita e gustosa.
L’ho trovato un testo molto bello e scritto bene, sicuramente meglio di questa mia recinzione che è diventata molto più lunga e noiosa di quanto volessi, spero che Antonio non me ne voglia per questo.
Cinque palle su cinque.
Lo trovate qui.