La dismissione di Ermanno Rea

4158238.jpgQuesto romanzo (che profuma di saggio) racconta la dismissione degli impianti siderurgici Ilva di Bagnoli (Napoli) avvenuta tra il 1985 e il 1992, raccontata dal punto di vista di un dipendente un po’ particolare: un semplice manutentore, incaricato da sempre di mantenere in salute gli impianti e designato poi – per lo scrupolo dimostrato negli anni e l’accurata conoscenza di ogni singolo bullone degli impianti – per accompagnare lo smontaggio e la consegna dei vari pezzi ai compratori, spesso provenienti dall’estremo oriente.

E come ci si sente a smembrare l’organismo di cui ti sei preso cura per anni, il cuore e polmone del tuo quartiere, della tua città? Il luogo fisico, emotivo e sociale dentro cui sei nato e cresciuto, che ha plasmato la tua esistenza, dentro cui pensavi di trascorrere tutta la tua vita, e che eri certo avrebbe dato pane e speranza ai tuoi figli? Ci stai di merda, ma allo stesso tempo non lasceresti questo compito a nessun altro, perché nessuno lo potrebbe fare con l’amore e la dedizione con cui lo faresti tu.

L’ho trovato inaspettatamente bellissimo.

Mi sono ritrovata in questa figura di lavoratore puntiglioso, innamorato delle cose fatte per bene, e fatte anche quando – potendo scegliere – faresti piuttosto qualsiasi altra cosa. Quest’uomo semplice, che cerca di fare del proprio meglio con quello che ha, con quello che la vita gli ha messo a disposizione, che cerca di comportarsi bene anche se qualche volta non può fare  a meno di sbagliare. Che non smette di meravigliarsi per le cose belle, e di incazzarsi per quelle che non vanno, ma senza farne un alibi per non fare nulla. Un uomo profondamente legato a Napoli, alle sue periferie e a quella visione disincantata eppure mai del tutto priva di speranza tipica di quel popolo, in quel momento storico, che ho conosciuto personalmente. Chissà se è ancora così, cosa si è perso, cosa è rimasto, cosa sarà.

Quattro palle e mezzo su cinque.

Lo potete acquistare qui.

Q di Luther Blissett

31iAd01JldL._BO1,204,203,200_La lettura di questo libro ha avuto una gestazione molto travagliata: mi venne regalato una ventina di anni fa dalla sorella dell’ex storico, dicendomi che era il suo libro preferito e una lettrice vorace come me lo avrebbe polverizzato in un attimo (hint: ci sono poche cose che mi rendano pesante e faticosa la lettura di un libro quanto l’accompagnarlo dalle parole “figurati per te sarà una passeggiata”).

Una decina di anni dopo me lo chiese in prestito un collega, che lo voleva leggere ma non voleva spenderci soldi. Me lo rese dicendomi “beh se non l’hai letto, dovresti” e ci provai, arenandomi però tipo balenottera spiaggiata dopo una cinquantina di pagine.

Forse non avevo capito la tecnica narrativa: i capitoli non seguono un ordine cronologico rigido, spesso il narratore cambia e peraltro – essendo Luther Blissett lo pseudonimo di un collettivo di scrittori – nei vari capitoli si intravedono anche le diverse “penne” che si sono alternate nella scrittura. Questo inizialmente mi ha dato un senso di forte distonia, di confusione. A ripensarci ora è un po’ il disorientamento che ho provato all’inizio di Infinite Jest, che – pur essendo diversissimo per ambientazione, trama e stile narrativo – ti chiede la stessa pazienza nell’entrare nella trama, dovendoti semplicemente affidare a quel che accade e rimandando al cuore del romanzo la sensazione di aver iniziato a comprenderne le dinamiche sotterranee.

L’ho infine ripreso, su consiglio di una persona cara, che me ne ha parlato in termini così appassionati da spingermi ad andarlo a tirare fuori dalla libreria polverosa dove aveva sonnecchiato tanto a lungo, ed essendo finalmente giunto il suo momento, l’ho poi finito in pochi giorni.

Mi sono concessa con pazienza al dipanarsi degli eventi, a quel metodico avanti e indietro della trama che schizza momenti sparsi nel tempo, apparentemente slegati tra loro. Solo nel volgersi del finale tutti i fili si tirano e riesci finalmente a vedere il quadro nel suo complesso, come se fino ad allora avessi seguito la tessitura di un arazzo dal verso e solo nelle battute finali venisse voltato a rivelarti il disegno finale.

Non posso dire che sia perfetto, ma è certamente un libro bellissimo: molto intenso, non banale, e con una capacità superiore alla media di tratteggiare i personaggi, che siano i protagonisti o i comprimari, con una attenzione al dettaglio concentrato in poche pagine che mi ha fatto spesso pensare alla madre di Cecilia de I Promessi sposi.

L’ambientazione storica (prima metà del ‘500 nell’Europa dilaniata dalle spinte eretiche che porteranno al protestantesimo) potrebbe far pensare ad un noioso polpettone, invece è sì un bellissimo affresco storico, ma prevale la storia degli individui che vi si muovono, inseguendo le proprie passioni e desideri, che siano la lotta alla corruzione della Chiesa, l’accumulo di denaro dalle nuove tratte e tecniche commerciali, il potere temporale su uomini e territori, l’amore o la felicità.

Quattro  palle e mezzo su cinque.

Lo potete trovare qui.

Parole di Antonia Pozzi

81nkQBz3O9LSi tratta del libro di poesie che Elio regala a Marzia nel film Chiamami col tuo nome, tratto dall’omonimo libro di André Aciman.

Glielo regala la sera in cui escono per la prima volta insieme da soli, una serata in cui la corteggia, si baciano e finiranno per fare l’amore stesi su un prato. Un libro che leggerà pensando a lui, mentre nel frattempo Elio consuma ore d’amore e di passione con qualcuno che non è lei.

Antonia Pozzi è una poetessa di profondi sentimenti, che inizia a scrivere giovanissima e morirà suicida a soli 26 anni. Lascia un piccolo tesoro di scritti che parlano di paesaggi montani, di solitudine e di amore.

L’ho letto nella disposizione d’animo ideale, ma non credo sia solo per questo che l’ho amato molto. Quattro palle su cinque.

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Il serpente dell’Essex di Sarah Perry

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Molti l’hanno trovato noioso al punto da abbandonarlo. Sicuramente alla sua uscita è stato un libro molto “sponsorizzato” (forse troppo), ma (probabilmente perché ci sono arrivata dopo) a me è piaciuto.

È sicuramente lento, con le sue quasi 500 pagine è anche lungo, però a me ha restituito quel ritmo proprio di quando – dopo un lutto, o una cesura importante col passato – tutto è attutito, ovattato, vischioso. Quando ti chiedi se sei tu ad avere percezioni strambe di ciò che ti circonda o se è il mondo intorno a te che ti sembra diverso da come lo avevi sempre visto.

Non vi dirò nulla della trama, se non che è ambientato nell’Inghilterra del sud, a fine Ottocento e che i protagonisti sono una giovane vedova, un bambino probabilmente autistico, un prete atipico, una donna ossessionata dal blu e una misteriosa creatura che non si sa nemmeno se esista davvero, ma sembra aggirarsi soprattutto quando il giorno va a morire, tutto è incerto e vagamente inquietante.

Quattro palle su cinque.

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Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino

9788804621980Tipica lettura da anni del liceo che invece mi era sfuggita, racconta la storia di un ragazzino durante la resistenza partigiana in Liguria.

Un libro doloroso, come sempre quando la guerra tocca i bambini, ma raccontato con la schiettezza e la ruvidezza che è propria di certa gente di collina, un mondo che per motivi personali conosco bene e che forse molti, nati e cresciuti in città, non possono riconoscere.

Nel complesso un libro crudo e molto bello, ma che mi ha conquistato meno di altri, come Una questione privata di Fenoglio.

Quattro palle su cinque.

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Finzioni di Jorge Luis Borges

6ab833714016c6937e9e37646fe0cd9e_w600_h_mw_mh_cs_cx_cyInnegabilmente un caposaldo della letteratura. Obiettivamente un testo bellissimo: visionario, evocativo,  geniale. Surreale, citatissimo.

Però – per motivi che non sono stata in grado di individuare – comunque non mi ha conquistata completamente.

Una raccolta di racconti comunque imprescindibile, per chi ama il genere ma anche per chi non.

Quattro palle e mezzo su cinque.

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New York di Goffredo Parise

images.jpgLetto anche questo come avvicinamento ad una vacanza newyorkese, come 101 cose da fare a New York almeno una volta nella vita, si tratta di una raccolta di “racconti di viaggio” e di lettere scritti da Parise – che ho amato più qui che in Sillabari – mentre soggiornava a New York e cercava di fissarne o trasmetterne le impressioni.

Il suo sguardo su New York, e sull’America è stato poi anche il mio, per quanto siano parole di quasi sessant’anni fa: la stessa sensazione di preminenza delle persone sulla città, qui forte come in nessun altro posto al mondo. La stessa impressione di un palcoscenico di cui stai vedendo solo quel che accade al di qua delle quinte, ma per sempre ti sfuggirà ciò che c’è dietro. La stessa percezione di una realtà che è già diversa da come la stai inquadrando, perché per forza di cose riconduci quel che vedi e senti a modelli noti, e (anche solo per questo) già vecchi.

Quattro palle su cinque.

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La casa della gioia di Edith Wharton

51q8MoeomTLPubblicato nel 1905, dalla stessa autrice del meraviglioso L’età dell’innocenza, questo romanzo si concentra sulla giovane vita della bellissima e brillante Lily, nata in una famiglia ricca poi caduta in disgrazia, che ha come unica speranza  quella di sfruttare accortamente le proprie qualità per accasarsi appropriatamente.

Purtroppo un istintivo rifiuto per i comportamenti opportunistici e poco etici – verso cui la spingono, oltre al bisogno, anche le convenzioni sociali, gli amici e i parenti – la portano da un lato  a sprecare una occasione dopo l’altra di fare un buon matrimonio e dall’altro non le consentono di volgere a proprio vantaggio le situazioni ambigue nelle quali si viene suo malgrado a trovare.

Non riesce a fingere di amare uomini ricchi ma sciocchi, o di cui non ha stima, mentre si innamora di un conoscente che a sua volta sente di amarla, ma nega e respinge questo sentimento perché la propria situazione lo spinge a sua volta verso un matrimonio più di interesse che d’amore.

Paradossalmente sarà proprio questa sua purezza di fondo a emarginare sempre più Lily dalla comunità di famiglie, relazioni e amicizie nella quale si muove.

La cosa che colpisce di più è come certe dinamiche legate alla reputazione siano ancora perfettamente valide a più di 100 anni di distanza, anche se oggi ne vediamo soprattutto gli aspetti legati alla esposizione sui social network.

Un libro che mi ha addolorata molto, ma che ho trovato splendido.

Quattro palle su cinque.

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Tutto da capo di Cathleen Schine

5000000254796_0_0_0_768_75Ammetto di avere un debole per la scrittura di Cahtleen Schine dai tempi di La lettera d’amore, rispetto al quale però la trama è meno interessante e i protagonisti non sono tratteggiati con la stessa ironia e particolarità.

Resta comunque – a mio gusto – molto interessante il tema di fondo: cosa succede quando una coppia si separa dopo tanti anni insieme e la protagonista deve fare i conti – oltre che con una prospettiva completamente nuova sul proprio futuro – anche con le banali necessità materiali e quotidiane? Cosa succede quando passi dal benessere di un appartamento amatissimo e arredato con gusto con vista su Central Park ad una casa di campagna piena di spifferi e mobili di fortuna? Cosa succede quando si trasferiscono con te due figlie, ciascuna con i propri problemi e il proprio personale fallimento? Perché se il vecchio modello familiare (moglie devota e angelo del focolare) non ti pone al riparo da stravolgimenti, nemmeno la fluidità dei rapporti e il doversi sempre reggere sulle proprie gambe ti preserva dalle naturali avversità della vita.

Per certi versi mi ha ricordato Da soli della Comencini, anche se con un esito meno brillante.

Tra le tre e le quattro palle su cinque.

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Il tennis è musica di Adriano Panatta

51UGefzVLxL._SY445_QL70_Panatta cerca di replicare la magia di Open – la “autobiografia” (in realtà raccontata a voce e poi scritta dalla penna di un Pulitzer) di Andre Agassi – affidando ad un giornalista le proprie memorie del circuito e dei suoi protagonisti a partire dal proprio ingresso nel mondo del tennis (che avvenne nello stesso anno della apertura ai professionisti dei tornei dello Slam).

Per ogni anno, dal 1968 in poi, Panatta sceglie un protagonista del tennis maschile o femminile (già questa una bella novità) e nel raccontare per ciascuno di essi i propri ricordi, le caratteristiche, i talenti, le vicende, gli epiloghi, i drammi e gli incredibili successi, aiuta a costruire una storia del tennis e della sua evoluzione.

Per una che ha seguito appassionatamente il tennis per una ventina d’anni e ancora oggi segue saltuariamente le vicende dei suoi protagonisti, è stato emozionante e appassionante ritrovare campioni del passato e del presente.

Non è perfetto, ma lo consiglio.

Quattro palle su cinque.

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