Il tennis come esperienza religiosa di David Foster Wallace

iltenniscomeesperienzareligiosaPrendete un americano disadattato, ex giocatore di tennis a buoni livelli e oggi scrittore, e mandatelo agli US Open a commentare torneo, giocatori e pubblico e avrete un librino godibilissimo.

Il solito punto di vista iper personale che gli dà l’occasione di tirar fuori osservazioni universali, espresse senza la presunzione di volerti spiegare come va il mondo.

Foster Wallace (ricordiamolo – anche se la copertina lì accanto trae in inganno – David è il nome, mentre Foster Wallace sono i cognomi rispettivamente della madre da nubile e del padre) a me piace sempre molto. Forse perché più che di leggere un libro hai spesso la sensazione di essere seduto sul divano accanto a un tipo strambo che ti racconta quello che vede, ma siccome quello che vede è allo stesso tempo qualcosa che vedi anche tu, ma che non hai mai visto così, direi che vale la pena di restare a sentire cosa ha da dire.

Quattro palle su cinque.

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Considera l’aragosta di David Foster Wallace

psn1254168624ps4ac11830354d7Racconta di saggi del solito Wallace che tanti adorano e altri detestano, di cui avevo già letto Infinite Jest e Questa è l’acqua. Comunque sia è una voce che vale sempre la pena di ascoltare.

Trovo inevitabile, benché straniante, il riunire in un solo libro ciò che è stato scritto in periodi tanto lontani e per occasioni così diverse. Paradossalmente la lettura ne risente. Forse avrei dovuto leggerlo per capitoli autonomi, intervallandolo con alte letture, ma tant’è.

Tre palle e mezza su cinque.

 

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Questa è l’acqua di David Foster Wallace

wallace-df_acqua1Raccolta di sei racconti dell’autore di Infinite Jest.

Gli argomenti toccati son quelli che ritrovi spesso nella sua produzione: l’amore, la depressione,  il ribaltamento della logica e di certe convenzioni sociali, l’isolamento e lo straniamento del singolo nella società.

Tutto molto bello, ma la sua attenzione morbosa per i dettagli resta per me il vero scoglio. Si vede che ha una mente vulcanica, che ogni cosa che scrive gliene fa venire in mente altre duecento, che dietro ad ogni frase si apre una porta che, se aperta, condurrebbe ad altre decine (migliaia?) di pagine e lui fa uno sforzo enorme per contenere il tutto. Quello che proprio non può fare a meno di lasciar fuoriuscire va nelle note, il resto lo accenna o lo lascia presagire. Insomma: lo affronti come si guarda un bulimico mangiare. La lettura in certi momenti ne risente: alle volte lo perdi un po’ per strada, anche se i temi affrontati arrivano a piantarsi dritto nel cuore e nella mente, con una Verità piena e assoluta.

E’ uno di quegli autori che traspaiono continuamente in ciò che scrivono e che avresti voluto conoscere davvero.

Tre palle e  mezzo su cinque.

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Infinite Jest di David Foster Wallace

71FLyXgl7ELGiustamente la recensione di Infinite Jest non poteva che essere una Infinite Recensione. Chiedo anticipatamente perdono.

Si tratta di un libro che ho letto principalmente perché alcune delle persone che stimo di più e a cui voglio più bene lo considerano un caposaldo della loro formazione (mi riferisco su tutti al Sir, a UDS e – ovviamente – a Madame Psichosys) e sentivo di aver bisogno di capire di loro qualcosa di più attraverso qualcosa di che ritengono così importante. E credo di averlo fatto.

La prima cosa che mi ha colpita è stata che è un libro che ha lo stesso impatto – su di te che lo leggi – della vita. Nel senso che non introduce niente, non ti spiega niente, non ti dice chi sta parlando, a che punto sei della storia, chi la sta raccontando, chi cazzo sono i personaggi. Ti sbatte in faccia le cose, le parole e i fatti così: come se fossi saltato su un treno in corsa. Il che, se vogliamo, è indice di una straordinaria capacità del narratore di riprodurre voci, situazioni, episodi differenti: alcuni momenti sono in forma di dialogo, altri di flusso di coscienza (senza quasi punteggiatura), altri raccontati in prima persona, altri con un narratore onnisciente, altri sono flashback (ma non lo capisci subito: un po’ come se stessi sognando e solo ad un certo punto ti accorgi che è un sogno, perché ci sei dentro e non vedi niente di strano finché non noti qualche incongruenza). La voce piena del narratore praticamente la trovi solo nelle note (ma sulle note faccio un commento a parte, dopo).

La mia sensazione è stata per tutto il libro di essere stata mandata in colonia. Non conoscevo nessuno, anche se dopo un po’ le persone attorno a me diventavano familiari. Non sapevo quanto ci sarei rimasta. Non capivo bene cosa succedesse (perché non c’era nessuno di amico a cui chiedere chiarimenti) ma seguivo un po’ la folla per vedere che succedeva, cercando di non restare troppo indietro. Quando la colonia è finita e son tornata a casa mi sono accorta che a qualcuno mi ero affezionata davvero, che qualcuno mi spiace di non averlo conosciuto meglio, qualcuno non mi mancherà per niente. Ma penso di aver imparato qualcosa: ho avuto un sacco di occasioni e di tempo per pensare a me stessa e, se devo fare un bilancio finale, sono contenta di esserci stata ed è una esperienza che non consiglierei a tutti, ma penso che a molti potrebbe dare qualcosa. Detto questo, la fregatura – caro DFW – è che sì, ok, sei bravissimo e sì, ok, la vita è così: che nessuno te la spiega e sei tu che ti devi fare il mazzo per capire cosa succede e chi hai di fronte. Però ecco: cche ddue ccoglioni. Perché tu lettore ci metti non meno di duecento pagine a capire non dico cosa stia succedendo, ma appena una minima infarinatura della trama, e devi arrivare almeno a pagina 900 per iniziare ad annodare un po’ i fili delle storie. Novecento pagine, raga. C’è gente che si è rotta le palle per molto meno.

Morale: Infinite Jest è come la vita, non facile, non omogeneo, non tutto bello, solo che la vita la devi vivere per forza, mentre un libro lo puoi mollare quando vuoi. Quindi: se tu lettore non lo vuoi leggere è un po’ un peccato, ma diciamo che ti resta un sacco di tempo libero per leggere parecchio altro. Se tu lettore lo cominci e poi lo molli, io lo capisco e un po’ ti do anche ragione eh. Però se tu lettore lo cominci e lo finisci, allora vieni qui e fatti abbracciare, fratello: è piaciuto moltissimo anche a te, vero? Lo sapevo. Vieni, prendiamoci insieme una tazza di the e mangiamo un biscottino.

La seconda cosa che mi ha colpita è che – così come la vita – c’è davvero di tutto. E non sai se un personaggio è uno dei protagonisti o un comprimario, non sai se una cosa che succede è importante o te la sembrerà mentre la leggi e poi scopri che no, non sai se invece un dettaglio apparentemente marginale riciccerà fuori a distanza di un saaaacco di tempo e scoprirai che *cavolo, se era importante* e non te ne eri accorto (cosa che, vi assicuro, vi frega di brutto perché ti fa venire voglia di ricominciare il libro e poi ricominciarlo di nuovo, per scoprire una cosa diversa ogni volta, per capire un collegamento in più ad ogni rilettura). La cosa bella di questo impianto narrativo è che finisci per farti sorprendere da pagine come non te lo aspettavi. La cosa brutta è che magari è passato tanto di quel tempo da quando hai letto quella cosa *importantissima* che manco te la ricordi più (per questo – anche – ci tenevo a non metterci troppo a finirlo: per non “dimenticare” quello che leggevo).

La terza cosa che mi ha colpita è che non ho mai letto niente – e sottolineo niente – che parli del dolore con l’intensità, la sincerità e il senso di resa e comprensione con cui ne parla questo libro. Penso che nessuno possa passare indenne attraverso certe pagine. Cito – per chi lo ha letto – i primi episodi che mi vengono in mente: povero Tony, la Ragazza Più Bella Di Tutti i Tempi nel bagno alla festa, il piccolo Matty e il suo Papi, Raquel Welch, “ecco”.

La quarta cosa che mi ha colpita è stata che il vero problema di questo libro non è che non ci sia una vera e propria trama: è che un romanzo – di fatto – non può non averne una. E tutto quello che è stato scritto dall’autore “per metterci una trama” costituisce le parti davvero noiose (il presidente Gentle, Marathe e Steeply sulla collina, gli afr). È come se avesse avuto delle cose da dire e quelle gli sono uscite così dirette così sincere, così perfette, che le leggi come se fossero boccate d’aria tra una agonia e l’altra, mentre l’agonia  – paradossalmente – è la trama che lega quelle cose.

Commento sulle note: l’ho letto su Kindle. Credo che su carta abbia più o meno 1250 pagine. Considerate che il libro “finisce” all’87%, il resto sono note. E detta così uno si immagina che quindi siano 400 pagine di annotazioni tipo libro di testo di scuola. Invece – porcoggiuda – fanno parte integrante del libro. Nella fattispecie nelle note ci finiscono essenzialmente tre tipi di incisi: 1) dettagli tecnici sulle tipologie di farmaci citati nel testo (David, vie’ un po’ qqua, fatti puntinare) 2) digressioni su cose che avrebbe potuto tranquillamente mettere nel testo, perché sono vere e proprie parti integranti della trama, corredate anch’esse da note (!!!), ma che secondo me l’editor gli ha fatto mettere in fondo, in modo che avessero un corpo più piccolo e le pagine complessive fossero meno (non v’è altra spiegazione) 3) commenti del narratore. Il quale interviene “per dire la sua” come se stessimo guardando i contenuti speciali di un dvd col commento del regista. Morale: non sperate di poter saltare le note, perché tanto fanno parte del testo, e se le saltate capirete ancora meno.

Rispetto ai commenti che ho letto in giro sul libro mi sento di dire che 1) sì, penso sia normale non riuscire a leggerlo al primo tentativo: è sicuramente un libro che puoi scegliere di iniziare, ma deve essere il *tuo* momento giusto per finirlo 2) non penso che DFW scriva in modo eccezionale, o almeno non sempre. Ha passaggi eccelsi, momenti di puro godimento, scorrevolissimi. Ma ha anche momenti di noia feroce, di dover tornare indietro a rileggere: momenti in cui non vieni risucchiato nella storia, ma “ti guardi da fuori” mentre leggi. Per me – ma è un giudizio che vale per me e relativamente a questo momento, poi magari leggo altro o lo rileggo e resto fulminata sulla via di Damasco – uno scrittore veramente bravo è bravo sempre. Non ti annoia mai.

*SPOILER* *NON LEGGETE SE VOLETE LEGGERE IL LIBRO * *MORIREMO TUTTI* *ANDATEWYA* *SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER* *SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER* *SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER* *SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER**SPOILER*

A me sta cosa che finisce, ma non finisce mi ha scocciato, e non poco. A me piacciono i libri che finiscono. Quelli dove sai che cosa succede alla gente, soprattutto a quella che hai seguito per un sacco di tempo. Alla fine Matty come sta? e Lenz, cosa ha trovato nelle borse delle cinesi? Gatley si salva? Vedrà mai il viso di Joelle? Joelle è davvero sfregiata o no? Loro due staranno insieme? Orin che fine fa? Trovano l’intrattenimento? La cicogna matta riuscirà a parlare con Hal? Era lui che inchiodava le cose al soffitto? Perché va a parlare con Gatley? Perché Hal all’inizio parla strano e nessuno lo capisce? Riesce ad andare all’università? Come gli vanno i test? E Pemulis? Come sta la faccia di Ortho Stice? eccetera. Lo odio. Odio tutti. Che qualcuno scriva il seguito o faccio una strage. (Poi magari mi sono distratta mentre lo leggevo e certe cose le ha spiegate ma non me ne sono accorta, tanto per dire alle volte pure mentre scrivo io uh forse ho ancora l’acqua sul fuoco per il the).

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*ADESSO POTETE ANCHE LEGGERE IL SEGUITO*

Un’altra osservazione al volo: è un libro che parla dello sbagliare. Della fatica che si fa a capire i motivi per cui stai sbagliando e – poi – a capire che quei motivi non devono diventare le tue giustificazioni per comportarti di merda con gli altri o smettere di vivere. Perché la stessa cosa o anche peggio può essere capitata ad un’altra persona, che però non ne ha fatto un alibi dietro cui nascondersi. Non riesco a ricordare nemmeno un personaggio che non abbia fatto almeno una cazzata irresponsabile. Come ciascuno di noi, nel proprio piccolo. Poi, così come tutto Infinite Jest appare come un affresco distorto e grottesco della vita, e così come la realtà viene presentata alterata, esasperata, contemporanea, ma allo stesso tempo iperbolica – come se stessimo guardando un presente alternativo attraverso una lente deformante – così tutti i personaggi e le storie sono sempre allo stesso tempo credibili e incredibili. Non riesci mai a capire del tutto se quello che ti viene presentato sia la realtà o una allucinazione. O un sogno. Nessuno al mondo è normale, se lo guardi abbastanza da vicino, e Infinite Jest è un libro che guarda tutti a distanza millimetrica e disvela l’anormalità di chiunque lo legga, ma senza dare un giudizio. Forse per questo quelli che lo finiscono si guardano l’un l’altro con l’affetto dei sopravvissuti ad un olocausto: non credo sia tanto per l’aver finito un mattone di svariate pagine, quanto perché è un libro che ti sa scavare dentro, può cambiare il tuo modo di guardare le cose e te stesso, e ti aiuta a perdonarti.

Veniamo alla domanda che mi fanno tutti: Infinite Jest è un capolavoro o no?

Mettiamola così: è un fottuto capolavoro anche con le parti pallose, ma allo stesso tempo non è un capolavoro assoluto, pur avendo delle parti assolutamente straordinarie. Non credo che DFW volesse “scrivere un capolavoro”, credo che volesse “scrivere” e basta: un libro che non ti dicesse *dove* guardare e *come*, ma che ti desse della roba da guardare. Poi sta a te vedere se hai voglia di guardare, se hai la concentrazione, l’approccio, la capacità (perché no?) di vedere quello che c’è e farne qualcosa. E’ lo stesso motivo per cui molte storie che ti racconta “non finiscono”. Ti porta fino ad un certo punto e poi te la devi cavare da solo. Piace? Non piace? è soggettivo. Con questo non voglio dire che se non ti è piaciuto è perché non lo hai capito e sei stupido: le cose appassionano o no anche a seconda del momento in cui le approcci. Magari non è il tuo libro, magari non è il momento giusto. Però concedetevi di non fare l’errore inverso, vale a dire sostenere che coloro che lo hanno finito e a cui è piaciuto lo dicano solo per darsi un tono.

Ora, nel the gradite latte e zucchero o una fettina di limone?

Cinque palle su cinque.

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Il cardellino di Donna Tartt

5237179_285116Letto perché Letizias (ciao Letizias <3) l’anno scorso aveva fatto due palle così con ‘sta Donna Tartt che scrive un romanzo ogni morte di papa e ogni volta dicono sia un capolavoro. Mi è piaciuto, molto. Ma non è uno dei miei libri preferiti. Bella la storia (mi aspettavo – non so perché – un Rosamunde Pilcher e invece mi ha ricordato per certi versi Molto forte, incredibilmente vicino e per certi versi un Paul Auster), ma lei si perde in un milione di dettagli narrativi (senza essere David Foster Wallace). Finale voto 4.

Complessivamente, però, tra le tre e le quattro palle su cinque.

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