Olive Kitteridge di Elizabeth Strout

imagesNon è un vero e proprio romanzo unitario, né una raccolta di racconti autonomi l’uno dall’altro: si tratta più di una sequenza di storie ambientate principalmente nell’America di provincia e legate tra loro in qualche modo dalla presenza della signora Olive Kitteridge. Vi si narrano ad esempio alcuni momenti importanti nelle vite di suo marito, del figlio, delle amiche, degli alunni che l’hanno avuta a scuola come insegnante, di lei stessa.

A volte Olive compare solo sullo sfondo, sotto forma di una frase detta a scuola e ricordata in un momento decisivo da una ragazza in crisi, che le dà lo spunto per dare una svolta alla propria vita. Mi ha ricordato, in questo, le “epifanie” di Gente di Dublino di Joyce: momenti che dovrebbero essere insignificanti, ma per la persona che li vive assumono rilevanza decisiva.

Il tutto concorre a comporre, grazie ai vari punti di vista dei protagonisti delle storie narrate, un quadro per elementi sovrapposti e a volte discordanti di Olive stessa, ma anche della vita della cittadina in cui si muove.

L’impressione conclusiva è che Olive, nella sua normalità e con tutti i suoi difetti e i suoi errori, abbia influito in modo determinate sulla vita di chi aveva intorno, ma lo ha fatto in quel modo normale e quotidiano con cui ciascuno di noi – a volte anche senza rendercene conto, o in modo diametralmente opposto a quanto avessimo voluto – influisce sulla vita di chiunque altro. Gesti apparentemente banali e casuali possono influenzare in modi che non possiamo nemmeno comprendere le scelte e la vita di chi incrociamo per un secondo o una vita intera. E, nello stesso modo, gesti o parole che per noi esprimono amore possono essere armi per coloro cui sono rivolte.

C’è un modo per non sbagliare? No, si può soltanto vivere per tutto il tempo che c’è concesso di vivere e si può amare con tutto l’amore che ci è concesso di donare.

Quattro palle su cinque.

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Lady Almina e la vera storia di Downton Abbey di Fiona Carnarvon

copQuesto invece è il tipico esempio di libro a cui hanno voluto dare un titolo di richiamo per farlo vendere (citare Downton Abbey) ma poi uno lo legge e nel 98% dei casi ci resta male. Non si tratta infatti della vera storia di Downton Abbey, nel senso della serie tv, ma la vera storia della contessa Almina, che – sposando il Conte di Carnarvon, divenuto poi noto per aver scoperto insieme a Carter la tomba di Tutankhamon – divenne la proprietaria del bellissimo palazzo dove Downton Abbey viene girato. Converrete che è un filo tirata per i capelli.

Ci provano per tutto il libro, a sventolare sullo sfondo il fantasma di DA, dei suoi protagonisti e delle dinamiche sospese tra convenzioni sociali e mutamenti nelle relazioni interpersonali, tra aristocrazia e servitù. Eppure, pur non facendo quel che il titolo promette, questo volume riesce comunque a non deludere del tutto un lettore come me, descrivendo la vita di una donna che – per ricchezza, capacità, determinazione e relazioni – ha partecipato in modo significativo alle vicende che hanno caratterizzato l’Europa nel periodo storico compreso tra la fine dell’800 e il periodo tra le due Grandi Guerre. Detto questo, se come corollario di DA non vale granché, anche come biografia non è tra le migliori che abbia letto. Complessivamente, tre palle su cinque.

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L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome di Alice Basso

Limprevedibile-piano-della-scrittrice-senza-nome1-874x1024Tipico esempio di libro che cominci avendo aspettative bassissime e te lo bevi filato come un bicchiere di acqua e limone in una giornata torrida. (Non credete assolutamente alla frase di richiamo riportata in copertina, del tutto fuorviante rispetto al contenuto e allo spirito del libro).

Ho adorato la protagonista: dotata di un irresistibile mix di autoironia e cinismo, ha intuizioni geniali ed emozioni assolutamente comuni. E’ insomma una delle decine di persone *normalmente straordinarie* che ciascuno di noi conosce e frequenta nella propria quotidianità.

Ben costruiti pure i personaggi secondari: anche quando volutamente esasperati e stereotipati nei comportamenti, non smettono di agire e parlare come persone normali, fresche, plausibili. In fondo ciascuno di noi “recita” o prova a recitare un ruolo, anche nella vita vera.

Bello, brava Alice Basso. Uno dei pochi romanzi scritti da una donna e aventi per protagonista una donna che mi sentirei di consigliare anche ai miei amici maschi.

Cinque palle su cinque.

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Il commissario Bordelli di Marco Vichi

copLibrino molto caruccetto, con l’ennesimo investigatore introverso, ma con una intensa sensibilità e umanità che lo spinge a volte ai limiti di quella stessa legge che dovrebbe far applicare per aiutare i disperati con cui per mestiere o per vicende personali si trova ad avere a che fare. Un buon poliziesco: ben scritto, con una insolita attitudine alla introspezione psicologica in questo genere di romanzo. Magari non l’intreccio più irrisolvibile e sorprendente della storia, ma perfetto se si è in cerca di qualcosa di più strutturato di un semplice delitto-sviluppo-soluzione del mistero.

Per certi versi mi ha ricordato i primi romanzi di Carlo Lucarelli – quelli ambientati nel periodo fascista con protagonista il Commissario De Luca – per altri l’atmosfera dei romanzi di Andrea Vitale. Comunque lo consiglio.

Quattro palle su cinque.

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Bianca come il latte, rossa come il sangue di Alessandro D’Avenia

image_bookMeh.

Se volevo leggere una sequenza di “soggetto-verbo-complemento-punto” avente a tema gli adolescenti, mi smessaggiavo con mia nipote tredicenne facendomi raccontare i fatti suoi.

(La grammatica è stata volutamente lasciata a casa per accordarmi con lo stile ggiovane del romanzo).

Due palle su cinque perché magari alla loro età mi sarebbe piaciuto (not).

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Fatherland di Robert Harris

arton17083Romanzo ambientato nella Germania di un 1964 alternativo in cui Hitler ha vinto la Seconda Guerra mondiale, quindi è tutto sovrastato dalle oscurità di un nazismo incancrenito, corrotto e malato, nel quale le persone vengono tenute avvolte in una bambagia fatta di omertà e paura di fare domande scomode e pericolose.

Il protagonista è l’investigatore March, ennesimo esempio in letteratura di investigatore schiavo del proprio lavoro perché abbandonato dalla moglie, che gli nega anche le visite al figlio, o forse portato inconsciamente ad allontanare da sé gli affetti perché troppo asservito alla propria curiosità e sete di trovare la Verità. Ci fosse mai un cazzo di investigatore pacioccone e contento, con moglie e quattro figli, il lavandino che perde e le convocazioni a ricevimento dal professore. Ma uno eh. Tutti solitari e introversi, sensibilissimi, ma mai disposti a far trasparire le emozioni all’esterno, duri, granitici, votati al sacrificio e perzino alla morteh.

Comunque il nostro eroe viene convocato sul luogo del ritrovamento di un cadavere in un giorno di riposo, accetta l’incarico non avendo di meglio da fare e per non disturbare il collega e amico che una famiglia ancora ce l’ha. Ovviamente ha fatto la cazzata, sennò non staremmo qui a parlarne, ma non aggiungo altro perché il romanzo è godibilissimo, è ben scritto e integra piuttosto bene – a mio ignorantissimo parere – verità storica e invenzione verosimile.

Quattro palle su cinque.

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Il bar delle grandi speranze di J. R. Moehringer

 Un buon romanzo, che ruota attorno alla vita di JR, ipersensibile figlio unico di una tipica madre americana costretta a tirare avanti la carretta da sola perché abbandonata dal marito dj scapestrato e irresponsabile.

Il vuoto che questi lascia nella vita del figlio diventa il motore che spinge tutte le sue scelte e le sue azioni: l’imporsi un desiderio di successo come tramite non per realizzare se stesso, ma per dare alla madre quella sicurezza che non ha mai avuto, i rapporti di dipendenza emotiva che instaura con le proprie ragazze, la continua e  incessante ricerca di un riferimento paterno che trova sbocco nel bar dove lo zio lavora come barista, e nel l’incredibile collage di uomini che lo popolano.

Un romanzo molto americano, soprattutto nella quantità di alcol ingurgitato: secondo me muoiono tutti presto di cirrosi epatica.

A volte piglieresti tutti più volte a ceffoni, ma merita una lettura. Quattro palle su cinque.

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Zia Mame di Patrick Dennis

 Letto perché me lo regalò anni fa Marilù (ciao Marilù <3), è un classico della letteratura spiritosa anglosassone. Non arrivo a dire che sia un “Tre uomini in barca” (che devo rileggere, mannaggiaggiuda) ma nella mia libreria mentale sta su quello scaffale.

Doppio pollice su, cinque palle su cinque.

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Una questione privata di Beppe Fenoglio

La bravura di Fenoglio non la scopro certo io, ma la scoperta e riscoperta di certi capolavori della letteratura è invece quel piccolo miracolo che è possibile ogni giorno nella vita del lettore, chiunque sia.
Una storia semplice, che incarna così perfettamente l’umana fragilità e debolezza di un ragazzo innamorato, ma insicuro del proprio amore tanto da essere disposto a fare cazzate irresponsabili per sapere la verità, da far apparire l’enormità della guerra come un semplice sfondo. Così è sempre: le tragedie collettive si muovono insieme alle minuscole tragedie personali, e finiscono sempre per assorbirle e far scomparire i singoli nel grande calderone della storia. Ma quanto prende al cuore, seguire quei singoli fosse anche solo per una pagina.

Grandissima letteratura, mi ha ricordato le emozioni del Partigiano Johnny ovviamente ma anche Per chi suona la campana di Hemingway.

Cinque palle su cinque.

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