Cattedrale di Raymond Carver

CatturaCarver scrive racconti, e ne scrive di bellissimi.

Storie piccole ma mai insignificanti, il più delle volte dolorose ma inquadrate alla luce di una lampada da lettura che disvela ogni dettaglio. Di solito in casi come questo si usa il termine “impietoso”, per uno sguardo così acuto, ma nulla sarebbe più lontano dal vero, perché Carver di pietà ce ne mette tantissima: la stessa di chi non si mette davanti a te per giudicarti, ma ti si siede accanto e ti mette un braccio sulla spalla e ti dice che ti capisce perché c’è passato. E tu senti chiaramente che è vero.

Bellissimo, anche se nelle raccolte di racconti è sempre difficilissimo mantenere un livello eccelso in tutti allo stesso modo. Quattro palle e mezzo su cinque.

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Principianti di Raymond Carver

IMG_8867Adesso ci mettiamo qui buoni buoni e facciamo un riassuntino degli autori di racconti di quelli che tu a uno gli dici “ma lo sai che ho letto dei racconti bellissimi, ma bellissimi proprio e sono di…” e quello ti risponde “graziearcà”. Gente tipo Joyce, Yates, la Munro, Hemingway, Cortázar, Poe, Bukowski e sì, dopo aver letto Principianti ci metto anche Carver. (E non vedo l’ora di leggere i Sessanta racconti di Buzzati).

Leggere racconti, diciamolo, non è per tutti: ad esempio non è per quelli che son convinti che uno scrittore che sceglie di scrivere un racconto invece di un romanzo lo fa perché non è capace di sviluppare una storia lunga: errore, se hai qualcosa da raccontare secondo me è ancora più difficile riuscire a impostare, sviluppare e concludere la storia in modo efficace e significativo in poche pagine. Se non hai nulla da raccontare, allora beh: da’ retta, è meglio lasciar perdere la scrittura proprio.

Leggere racconti invece è per chi ad esempio fa fatica a cominciare o riprendere a leggere con costanza: il fatto di aver davanti a sé le 200-300-500 pagine di un romanzo spesso sembra una fatica improba e si lascia perdere. Oppure se uno inizia un romanzo e poi non ha tempo e modo di continuarlo, molla lì il libro, e quando lo riprende non si ricorda più nulla della trama: ecco, qui le raccolte di racconti sono una possibile soluzione, perché puoi leggere un racconto alla volta e chiudere comunque la storia, sapere “come va a finire”. C’è un grande bisogno di sapere “come va a finire”, secondo me.

Ma dopo il pippone introduttivo che lo so, lo so che vi è piaciuto, non dite di no (tanto a chi non è piaciuto avrà smesso di leggere da un po’ e siamo rimasti in pochi, mettiamoci seduti vicini vicini) torniamo a Carver. Lui è stato uno straordinario autore di racconti: questo volume raccoglie le versioni originali di quelli che erano già stati pubblicati col titolo “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore“, ampiamente tagliati e rimaneggiati dal suo editor. Questi tagli, mal digeriti dall’autore, lo hanno portato in seguito a voler ripubblicare i racconti nelle loro versioni originali. Beh, io non ho letto quelli coi tagli, ma in questi vi assicuro che non sembra esserci nulla di superfluo.

Sono ritratti potenti di piccole e grandi tragedie quotidiane. Persone apparentemente banali e normalissime, eppure succedono loro delle cose. E le cose che gli capitano sono davanti a noi, scritte e descritte con precisione chirurgica, ma senza la freddezza asettica di una sala operatoria: i quadri che ci vengono dipinti sotto agli occhi e tra le dita sono accompagnati da un sottofondo di dolente empatia, che ce li incastra nel cuore. Anche Carver (come Yates, come David Foster Wallace) conosceva il dolore, e ce lo descrive come un amico inopportuno che resta vicino per incapacità di mandarlo via, ormai rassegnati a tenercelo accanto fino alla fine. Eppure non si respira un’aria triste, nelle storie che ci racconta: c’è una tenerezza quasi paterna nel narratore, che si contrappone in alcuni casi a una sorta di cecità ingenua quasi infantile nei personaggi, che ci fa indovinare dietro alla penna un uomo che ne ha viste tante e la sua comprensione per chi va incontro agli sbagli senza rendersene conto, perché ancora non *sa*: i Principianti.

Una raccolta consigliatissima, a cui do “solo” quattro palle e mezzo su cinque perché vengo da una lunga serie di storie dolorose e forse avrei bisogno di farmi qualche mesetto a leggere solo libri per bambini dove non soffre nessuno e c’è ancora davvero una qualche speranza nel futuro. Invece andrà a finire che cerco Cattedrale e lo comincio.

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