Middlesex di Jeffrey Eugenides

9788804584360Superato l’ostacolo per cui  mi ero convinta che Middlesex fosse la versione modernizzata di Middlemarch di George Eliot (mi puntino da sola), ho finito per iniziare questo romanzo dello stesso autore di Le vergini suicide e vincitore del Pulitzer nel 2003, su suggerimento a più voci degli amici del socialino defunto (ciao Friendfeed <3).

E’ un libro che parla di una ragazza, e delle difficoltà che affronta durante la crescita. No, parla di una ragazza che però è anche un ragazzo, e delle sue difficoltà a gestire una identità di genere (obbioddio! è un libro che parla di gender! Run you fools!) diversa dall’identità sessuale nella quale è stata cresciuta. No, scusate, parla della famiglia di questa ragazza che però è anche un ragazzo e della difficoltà che incontrano gli emigranti a inserirsi nella società americana. Però aspettate, è anche un libro che parla dei singoli membri di questa famiglia e delle difficoltà che incontrano perché tutti finiscono per innamorarsi di persone *sbagliate*, però la forza di quelle emozioni è così grande che spazza via tutto, ma proprio tutto il resto, con conseguenze spesso disastrose.

Insomma, è un libro che parla di un sacco di gente e delle difficoltà di vivere: di vivere l’adolescenza, e poi la vita adulta, e la maturità; di vivere il rapporto coi propri genitori, e coi figli, e coi mariti, e con le mogli, e con le sorelle, e con le cugine. Con tutta questa gente e tutte queste difficoltà uno si immaginerebbe un romanzo (romanzone, dato che l’ha tirata in lungo per 600 e rotti pagine) da ccheddueccoglioni. E invece lo fa con una leggerezza, una capacità di gestire la complessità, una tecnica narrativa irresistibile e quasi sempre molto scorrevole (anche se a metà libro ho attraversato una fase di *uh ma che bel gomitolo rosso mi sta rotolando davanti ai piedi aspetta che lo inseguo e ci gioco un po’, cos’è che stavo facendo prima?*, tipo gatto). Però parlandone con gli amici è stata una grandiosa occasione per fare delle riflessioni su identità di genere, identità sessuale, preferenze sessuali, caratteri sessuali esteriori, “normalità”, “anormalità”, eccetera. Sempre ricordando che si tratta di un romanzo (basato su una ricerca anche scientifica ne son certa più che approfondita, ma sempre un romanzo), e non un trattato scientifico o un manuale.

Middlesex è un grande romanzo: dal titolo mi aspettavo che parlasse di sesso (sì, lo so, lo so: mi faccio tutta una serie di idee dal titolo che dio solo lo sa. Lo so), invece il sesso è  – come sempre, diciamolo – soltanto questione di pochi centimetri (cit.), mentre con questo romanzo Eugenides affonda e ci fa affondare nelle profondità e molteplicità delle emozioni umane. Veleggia parecchie spanne sopra Le vergini suicide,  di cui mantiene la capacità di sondare la gamma delle emozioni umane, soprattutto femminili, ma a cui aggiunge una storia che si dipana in modo convincente e appassionante lungo mezzo secolo e oltre, attraversando l’europa e gli Stati Uniti.

Quattro palle su cinque e una pacca sulla spalla.

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Le vergini suicide di Jeffrey Eugenides

leverginisuicide_1316766474Avevo già visto il film (regia di Sofia Coppola, uscito in Italia come “Il giardino delle vergini suicide”). L’atmosfera tra libro e film è, per forza di cose, diversa, in quanto il libro è fatto di evocazioni, ricordi, costruito come un collage di testimonianze: un artificio che consente alle “vergini” – protagoniste assolute e indimenticabili del libro – di emergere come spiriti eterei e misteriosi dalle pagine del romanzo. La versione cinematografica non può che puntare su altro. Il film non mi aveva convinta, il libro un po’ di più, anche se resta nella memoria una immagine evanescente e pallida che – subito dopo aver girato l’ultima pagina – comincia a sparire nel ricordo. Tutto sommato forse un tantino sopravvalutato, ma non fino a ritenerlo sconsigliabile.

Tre palle su cinque.

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