Elianto di Stefano Benni

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Libro amatissimo fin dalla prima lettura. A Benni mi introdusse – quindicenne – un vicino di casa, che scoprì con meraviglia che, nonostante una adolescenza di voraci letture, non mi ero mai imbattuta in questo emulo (così me lo presentò) di Pennac. Io ovviamente non sapevo nulla nemmeno di Pennac.
(Si finisce mai, dico io, di scoprire nuovi autori meravigliosi? si colmano mai tutte le lacune? ci sarà un momento in cui si raggiunge almeno una infarinatura rozza e sommaria di quel che vale la pena leggere nella vita? francamente più vado avanti più mi rendo conto che la risposta è “no”).

Comunque iniziò morbidamente prestandomi Baol, e ancora mi ricordo la sensazione notturna e nebbiosa di muovere i primi passi accompagnata da Benni nel suo mondo di fantasia, di emozione e di surrealismo. Conquistata, lessi Bar Sport (ridendo come una demente), La Compagnia dei Celestini (che amai meno, ma forse dovrei rileggerla oggi), andai a teatro a vedere Il bar sotto il mare (con uno per cui avevo una cotta improbabile e che ovviamente non mi cagava) e quando incontrai Elianto capii di aver trovato uno degli autori della vita, quelli che poi possono pure scrivere una mezza schifezza (e Benni purtroppo l’ha fatto), ma te la leggerai lo stesso.

Elianto è una miniera di spunti fantastici. Fin dalla primissima pagina inanella perle. L’atomo porteur, l’incontro tra le chiome modellate da ettolitri di lacche chimiche, l’ingordo diavolo Brot che si sgranocchia la coda quando ha fame e la diavolessa innamorata ma che lo tiene ovviamente nascosto, Ermete Trismegisto, Boccadimiele, l’inferno come ingorgo, la Teoria del Bonus Vitale di Talete, il collezionista di farmaci scaduti, il sondaggio “SIATE MAGGIORANZA!”, la sfida tra i presidenti, uno stato che si chiama Tristalia. Sono incalcolabili gli spunti geniali contenuti in questo romanzo, e non vi dirò nulla di più.

Sono di parte, ma per me cinque palle su cinque.

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